Ispirazioni e innovazioni dalle neuroscienze per migliorare la qualità della comunicazione e del business nel convegno Certamente di Ottosunove

Ascoltare i consumatori e fare fede a quello che dicono è importante, ma per avere un quadro completo delle loro scelte e percorsi d'acquisto è altrettanto necessario occuparsi di ciò che loro stessi non sanno spiegare. Ovvero: di tutta la loro parte inconscia e irrazionale, che li spinge ad agire su base intuitiva ed emotiva (la netta maggioranza delle loro decisioni sono prese così).

Ad occuparsi di questa frontiera sono il neuromarketing e le scienze comportamentali, che analizzando e misurando le risposte agli stimoli con strumenti oggettivi offrono ai brand importanti spunti per migliorare comunicazione e business. A fare il punto sul tema anche quest'anno è stato il convegno Certamente - Inspiring Neuromarketing Day di Ottosunove, giunto nel 2019 alla sua quarta edizione.

In attesa di un approfondimento sul tema su Mark Up di aprile ecco alcune pillole tratte dall'evento.

1 - Visibilità non significa apprezzamento, ma ne è la condizione primaria
Nella teoria parrebbe ovvio, ma nella pratica non lo è. Che si tratti di uno spot o di un packaging, rendersi visibili tra una pluralità di messaggi e referenze è sempre più complesso. Il neuromarketing consente di fare leva leva sugli asset giusti per farsi notare  da quell'oltre 50% degli acquirenti di categoria che non vede l’innovazione sullo scaffale (dato medio rilevato con Eye-tracking in assenza di pubblicità o attivazioni in-store - Ipsos Behavioral Lab 2018). Alla visibilità deve poi seguire il gradimento, che anche in questo caso non passa da una creatività soggettiva ma da un mix di elementi controllabili e misurabili, come dimostra il lavoro di valorizzazione portato avanti da Ottosunove con Segafredo per uno spot destinato al mercato polacco.

2 - È necessario capire le associazioni implicite con il brand partendo da insight rilevanti
Per utilizzare il neuromarketing in comunicazione e pubblicità è necessario partire dalla comprensione emozionale del consumatore, mappandola. Ad offrire un buon esempio in tal senso è il lavoro fatto da National Trust, un fondo britannico in difesa di patrimoni culturali e naturali del Paese, con Walnut Unlimited. Come spiega la fondatrice dell'agenzia di ricerca Cristina De Balanzo: "Sono state fatte delle analisi per comprendere le associazioni con i valori del brand, poi sui percorsi delle visite outdoor per capire le sensazioni dei visitatori e quali messaggi fossero più adatti alla loro mentalità lungo i percorsi di visita, sia su quelle standard di base, e su quali invece catturassero maggiormente l’attenzione e il coinvolgimento, utilizzando diversi strumenti fra cui eye tracking e survey via direct mail. Abbiamo capito che il contesto è la chiave, abbiamo lavorato sul signage, diminuendone il numero e aumentandone il formato. È stata realizzata una guida di best practice improntate su semplicità della comunicazione, forte impatto, facilità e fluidità di elaborazione, importanza degli elementi esecutivi".

3 - Il gusto non ha a che fare con ciò che accade in bocca
Numerosi test lo dimostrano, come quello storico che ha messo a confronto Pepsi e Coca-Cola, rilevando come i consumatori affermino di sentire sapori diversi a seconda che sappiano o meno quale marca stanno assaggiando (quando non lo sanno la risposta cambia). "Tutto quello che noi proviamo assaggiando qualcosa non dipende esclusivamente da ciò che finisce in bocca, ma da ciò che accade nel cervello. Il gusto, il valore di ciò che ingeriamo si crea nel cervello. Questa è la neurogastrofisica. Parole, aggettivi, suoni, colori, possono modificare la nostra percezione rispetto a un piatto o a un vino", sottolinea Vincenzo Russo, professore e direttore scientifico Behaviour and brain Lab, Centro di ricerca di neuromarketing di Iulm. Un esempio? Soluzioni colorate (con colori inodori e insapori) sono percepite come più fortemente odorose di quelle incolori.

4 - Realtà virtuale e neuromarketing accoppiata vincente per migliorare l'innovazione
La realtà virtuale aiuta i consumatori a capire e dare feedback su idee e concetti, così come l’analisi emozionale permette di comprenderne il processo implicito ed emotivo, aiutando un brand o un retailer a progettare migliori esperienze. Ad utilizzare con successo il binomio VR-neuromarketing è stato ad esempio il marchio Electrolux, che grazie a questa accoppiata ha valutato in anticipo la risposta degli utenti alle innovazioni introdotte negli propri elettrodomestici. "Un percorso che ha già modificato il metodo di progettazione, e che dal tavolo degli ingegneri si muove rapidamente fino al punto di vendita", conferma Jessica Adel, consumer insight manager di Electrolux.

5 - Con il neuromarketing si può implementare la percezione di un'intera categoria di prodotto, a beneficio collettivo
Una ricerca condotta da MonitorOrtofrutta per Agroter ha rilevato che, quando si tratta di ortofrutta, il consumatore preferirebbe comprare questi prodotti direttamente dal contadino (produttore), ma in realtà il 70% dei consumatori va al supermercato perché è comodo. Ciò nonostante, la percezione della categoria in store è in gran parte insoddisfacente e vissuta come incostante nella qualità offerta. Il 24% degli acquirenti, ad esempio, si aspetta sempre di trovare della frutta/verdura marcia tra quelle comprate. Come evidenzia la ricercatrice di Brainsigns Patrizia Cherubino: "Il processo di acquisto dell’ortofrutta è molto complesso e lo studio di brain marketing ha messo in luce alcuni elementi critici non evidenziabili con le tecniche di analisi tradizionali. Packaging innovativi, semplicità, chiarezza espositiva e l’elemento rassicurazione, sembrano essere decisivi per migliorare la soddisfazione del cliente. Altri importanti ambiti di applicazione delle tecniche di brain marketing al settore attengono alla percezione del prezzo e delle risposte neurometriche ai differenti sapori di frutta e verdura".

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