Pasta con grano italiano, obiettivo possibile?

Crescono i contratti di filiera promossi dalle imprese industriali, con cerealicoltori e molini, per favorire l’approvvigionamento della materia prima nazionale e ridurre l’importazione dall’estero. Con il coinvolgimento di università e aziende sementiere nella ricerca di varietà performanti (da Mark Up n. 271)

Ci sono paradossi. E quello sul grano è tra i più evidenti. L’Italia è il primo produttore di grano duro dell’Unione Europea, rappresenta il 10% della produzione globale ed è al primo posto anche nella classifica dell’export con 1,9 milioni di tonnellate, ma non è autosufficiente. Il fabbisogno per l’industria è di 5,6 milioni di tonnellate e il nostro Paese ne produce solo circa 4 milioni, in base alla media degli ultimi cinque anni (dati Italmopa) su una superficie coltivata di 1,28 milioni di ettari. Dunque importa: principalmente da Canada, Usa, Australia, Francia, Messico. Parallelamente ha il record di biodiversità, con circa 250 varietà iscritte nel Registro varietale. Eppure solo il 35% del grano italiano ha un contenuto proteico superiore al 13%. Mentre quello di un altro terzo circa è inferiore al 12%, dunque inadatto alla pastificazione, ricorda Aidepi.

Per fare una pasta italiana di qualità (l’unica al mondo prodotta con semola di grano duro, in base alla Legge di purezza 580/67), dicono le industrie, serve un livello proteico di circa un paio di punti percentuali oltre il valore stabilito dalla normativa (10,50%); oltre al rispetto di altri parametri: dall’indice del glutine per la proverbiale tenuta al dente, al colore. Data la situazione di partenza del prodotto domestico, ne deriva la necessità d’importazione dei migliori grani esteri, pagati circa il 15% in più di quelli nazionali.

Ma l’italianità è un plus: il consumatore chiede sempre più un prodotto made in Italy, oltre che green. Un decreto legge varato il 26 luglio 2017 ed entrato in vigore lo scorso febbraio ha imposto poi in via sperimentale la tracciabilità in etichetta sulla provenienza della semola di grano duro. Questi cambiamenti hanno accelerato la creazione di accordi di filiera sostenuti dalle imprese industriali, che hanno fatto da sprone al mondo agricolo. Coinvolgono cerealicoltori e molini, ma soprattutto si avvalgono della collaborazione di università e aziende sementiere nella ricerca di varietà domestiche performanti, in un modello che ruota attorno alla sostenibilità.

Alla ricerca di un grano nazionale competitivo in un quadro di sostenibilità sono nate nuove organizzazioni di filiera.

L’analisi che segue, portata avanti in collaborazione con Fresh Point Magazine, si occupa delle principali iniziative in corso in questa direzione.

De Matteis Agroalimentare, nata nel 1993 a Flumeri, in provincia di Avellino, è uno dei più importanti player nel mercato mondiale della pasta secca di qualità. Merito delle due famiglie fondatrici, De Matteis e Grillo. Esporta in 43 Paesi del mondo per un fatturato (2017) di 106 milioni di euro, realizzato per il 70% all’estero. La filiera Armando (prende il nome dal presidente, Cavaliere Armando De Matteis) è tra le più importanti del grano duro made in Italy. Coinvolge 1.836 aziende agricole e 45 stoccatori sparsi in 21 province di 9 regioni italiane per una superficie coltivata dedicata di oltre 24.000 ettari. È tra le poche aziende del settore ad avere il molino di proprietà, collegato direttamente al pastificio, con una capacità produttiva annua di 130.000 tonnellate. Secondo il patto l’agricoltore si impegna a seminare le varietà di grano duro concordate con il pastificio De Matteis e a coltivarle nel rispetto di un disciplinare finalizzato al raggiungimento di un elevato contenuto proteico. In cambio l’azienda si impegna a fornire l’assistenza in campo di agronomi dedicati e ad acquistare il raccolto a un prezzo minimo garantito. “Il progetto è nato in maniera pionieristica otto anni fa con circa 100 agricoltori -spiega l’amministratore delegato Marco De Matteis-. Rispetto al 12,5% proteico di media, noi abbiamo una soglia di ingresso del 14,5% di proteine e raggiungiamo punte del 16% con una certa frequenza. È una filiera diretta, senza intermediazione”.

De Cecco dal 1886, 455 milioni di fatturato, ha due unità produttive in provincia di Chieti, una a Fara San Martino, con molino annesso al pastificio, l’altra a Ortona. “Noi puntiamo a incrementare sempre di più i contratti di filiera -spiega Mario Aruffo, responsabile acquisti- per dipendere meno dalle importazioni, purché il grano finale sia di qualità. Ovvero con contenuto proteico sopra il 14,50% e indice di glutine sopra 80”. La filiera attivata qualche anno fa conta oltre 1.200 produttori sparsi su 10 regioni, dalla Basilicata al Piemonte, con 21 stoccatori e una OP che si avvale di 31 strutture di stoccaggio. Il tutto per 60.000 tonnellate di produzione su una superficie di oltre 13.000 ettari. È previsto un minimo garantito, prezzi da 270 a 290 euro per tonnellata secondo le regioni di coltivazioni e la qualità consegnata. Se le quotazioni della borsa merci di riferimento dovessero superare quella soglia, una clausola prevede che si partirebbe dal nuovo minimo con premialità in funzione della qualità consegnata. La materia prima è mediamente tra il 30% e 40% italiana, prevalentemente dall’Abruzzo, Puglia, Basilicata, Marche. “Quando non c’è la qualità in Italia, De Cecco è costretta a importarla dall’estero. Lo abbiamo sempre scritto sulla confezione che usiamo grani italiani misti con quelli esteri, che ci costano il 30% in più, con il trasporto via nave. Facciamo contratti di coltivazione anche in Arizona e California, dove le condizioni climatiche sono ottimali e stabili e i chicchi di grano sono fotocopia dell’anno precedente”.

Il Pastificio La Molisana dal 2011 è stato acquisito dalla famiglia Ferro, mugnai da quattro generazioni. Oggi il fatturato è superiore ai 100 milioni di euro, di cui il 35% maturato con l’export in 80 Paesi. Con una capacità produttiva giornaliera di 470 tonnellate al giorno, è il quinto player del mercato della pasta e secondo brand d’Italia sull’integrale. L’accordo di filiera è stato sviluppato con oltre 1.450 agricoltori del Centro-Sud su una superficie agricola di circa 11.600 ettari. Si garantisce un valore fin dalla semina di 300 euro tonnellata. Lo scorso anno abbiamo ritirato grani che andavano dal 14% al 17% di proteine. Il grano viene coltivato soprattutto nella zona della Capitanata dove c’è un centro di stoccaggio da 200mila tonnellate, il più grosso d’Europa. Poi in Molise, Marche, Lazio e Abruzzo. L’obiettivo è quintuplicare i volumi di acquisto del grano duro passando da 10.000 a 50.000 tonnellate per una pasta 100% italiana. “Da luglio, sarà disponibile il prodotto 100% grano italiano. Il 95% del grano arriva dalla nostra filiera, il resto lo acquistiamo da fuori filiera, ma sempre in Italia” garantisce Giuseppe Ferro, amministratore delegato de La Molisana.

L’impegno di Barilla (3,4 miliardi come giro d’affari, di cui circa il 45% arriva dall’Italia) è dal campo alla tavola. Lo scorso anno l’azienda italiana ha acquistato in media -nei vari Paesi con sedi di produzione- 670.000 tonnellate di grano duro (90% del totale) direttamente nel luogo dove viene prodotta la pasta. In Italia, Barilla ha stipulato contratti di coltivazione per il 57% dei volumi acquistati (430.000 tonnellate) coinvolgendo oltre 5.000 aziende agricole. Il progetto grano duro sostenibile è cresciuto nel 2017 del 26%, con volumi che sono passati da 190.000 tonnellate a 240.000 tonnellate. Barilla ha da tempo avviato contratti di coltivazione triennali con gli agricoltori italiani per la filiera del grano duro. “Gli accordi di filiera che abbiamo sottoscritto dimostrano che c’è un modo virtuoso di sostenere l’agricoltura nazionale della filiera grano-pasta - afferma Luca Virginio, responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne del Gruppo Barilla-. Attraverso questi contratti di coltivazione riusciremo finalmente ad aumentare la produzione di grano duro italiano di qualità e a remunerare adeguatamente gli agricoltori, che potranno anche programmare al meglio lo sviluppo di mezzi e di risorse”.

Il grano della pasta Antonio Amato proviene da coltivazioni 100% italiane selezionate, macinato fresco nel mulino di Salerno, per diventare pasta in meno di 24 ore. Nel 2012 il Pastificio Antonio Amato è stato acquisito dai Di Martino di Gragnano, famiglia di pastai da tre generazioni. Il Gruppo ha una produzione di 150.000 tonnellate di pasta annui. “All’ingresso in azienda il motto è Da sempre e per sempre 100% grano italiano -ricorda Giuseppe Di Martino, amministratore delegato-. Facciamo una pasta 100% made in Italy. Già nel 2005 era dichiarata l’origine della materia prima sul pacchetto del Pastificio dei Campi”. Il Pastificio Di Martino e Dei Campi lavorano con la filiera: il molino De Vita è l’anello con le cooperative dei contadini e i conferitori singoli aderenti al contratto che impone una certa qualità, minimi garantiti e durata pluriennale. “Abbiamo due livelli di contratti di filiera -spiega-, uno è quello di Pastificio Dei Campi che raccoglie 43 conferitori, straordinari per performance: è una piccola produzione (35-40 quintali al giorno). Per il Pastificio di Martino e Antonio Amato il numero è elevato, con decine di centinaia di operatori e decine di migliaia di tonnellate di produzione. Noi utilizziamo una qualità precisa con alto contenuto proteico. Per Pastificio Di Martino e Dei Campi abbiamo un minimo di 14% di proteine e per Antonio Amato del 13%, con indici di glutine elevati. La varietà è importante, ma è secondaria alla zona”.

Casillo, leader mondiale nell’acquisto, trasformazione e commercializzazione del grano duro (12 impianti molitori, 6 terminal portuali, 5 silos di stoccaggio), di Corato (Ba), con la linea Prime Terre ha sposato un progetto di filiera regionale controllata, per valorizzare la biodiversità dei grani italiani e locali. I grani duri e teneri 100% italiani e 100% territoriali, sono coltivati e macinati nelle regioni storicamente vocate alla coltura di cereali, dall’Emilia alla Sicilia. Coinvolgendo Coldiretti, recentemente Casillo ha siglato un grande accordo di filiera per la fornitura da parte dei coltivatori italiani di 6 milioni di quintali di grano biologico all’anno per cinque anni, per un valore a regime di 250 milioni di euro.

La produzione prevede metà grano tenero e metà grano duro e vedrà coinvolte ben 15.000 aziende agricole e 7 hub di raccolta con un prezzo stabilito per la compravendita del grano di 340 euro a tonnellata. “La linea Prime Terre nasce come linea da agricoltura convenzionale. Ma già dal 2018 ci saranno delle linee nazionali e regionali bio -fa sapere Beniamino Casillo-. E cercheremo di spingere il bio il più possibile e andare in due-tre anni oltre il 50%”.

 

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