Personal Ikea diversity per innovare

belen frau
Il legame tra cultura aziendale e strategica è inscindibile, quando è sinergico vincono tutti ... anche il cliente (da Mak Up n. 265)

Belén Frau, il volto di Ikea in Italia, amministratrice delegata dal 2015, arriva dalla Spagna; quello con Belén è il primo di una serie di incontri che Mark Up farà nel corso del 2018 con le donne in posizioni apicali che appartengano alle aziende retail, servizi, industria ... il settore ha poca importanza ... per capire come accelerare un processo di diversity che, pur dimostrato essere ad alto rendimento, in Italia fatica ancora a prendere avvio. Stereotipi, arretratezza, cultura machista? Noi non lo sappiamo, ma siamo determinati a scoprirlo. Come? Raccontando le storie di successo di quelle aziende che non solo ospitano la diversity ma ne hanno fatto un fattore economico di successo. Ed eccoci a Belén Frau, classe 1974, nata a Bilbao, un marito e tre figli.
Come sei arrivata qui? Qual è stato il tuo percorso?
Sono laureata in economia, ma non sono arrivata subito al retail. Mi fa piacere sottolineare questo aspetto perché dimostra che il mio percorso non è stato lineare. Ho seguito inizialmente la testa, scegliendo la specializzazione finanziaria che a detta di tutti mi avrebbe dato più possibilità di scelta. Poi ha prevalso il cuore e ho scelto quello che mi piaceva davvero: la specializzazione commerciale e il marketing. A parte un anno passato negli Stati Uniti, ho studiato sempre a Bilbao dove ho iniziato a lavorare in Deloitte, società di consulenza, occupandomi di auditing. Dopo sette anni sono diventata manager, lavorando tantissimo e, devo dire, ne è valsa la pena. Poi un giorno un’amica mi ha parlato di Ikea, che allora era solo a Madrid e a Barcellona e stava progettando di aprire il primo negozio a Bilbao. Così ho fatto un colloquio con uno svedese molto informale. Ricordo che io portavo ancora i tacchi “da consulente” e lui mi chiese “Raccontati, qual è il tuo ruolo tra le tue amiche”. Ero basita, nessuno mi aveva mai posto una simile domanda durante un colloquio: solo dopo ho capito che l’obiettivo era di indagare quali fossero i miei valori. Sono uscita da lì con il desiderio di lavorare in Ikea e fortunatamente è andata bene. Ho iniziato come responsabile finanziaria nel nuovo negozio un anno prima che aprisse, nel frattempo ho seguito un training per diventare store manager, posizione che mi è stata offerta mentre ero all’ottavo mese di gravidanza. In Ikea la diversity è presa molto sul serio. Ho ricoperto il ruolo di responsabile del negozio di Bilbao per tre anni, ottenendo ottimi risultati con una squadra fantastica. Quello rimane il mio negozio del cuore. Poi ho avuto l’opportunità di diventare amministratrice delegata in Spagna, un’eccezione, perché di solito vengono scelti Ad provenienti da altri Paesi. In Spagna non c’era mai stata una donna al vertice e nemmeno uno spagnolo. Ho infranto tutte le regole e mi è piaciuto moltissimo. Erano gli anni della crisi, noi rappresentavamo un po’ il termometro della società e abbiamo perso un po’ di fatturato, una situazione inedita per Ikea. Ho però imparato tantissimo su come motivare una squadra e pensare nel lungo termine non basandosi sul day-by-day ma puntando su innovazione e attenzione alle esigenze del cliente. Dopo quattro anni, mentre ero in maternità, mi ha chiamato la responsabile dell’Europa proponendomi l’Italia, dove cercavano una persona con le mie competenze e capacità. Ho accettato la sfida, ed eccomi qui. Ci siamo trasferiti tutti, marito incluso, che è stato fondamentale in questa fase di cambiamento. Per me è stata un’opportunità importante, perché l’Italia è uno dei Paesi più importanti per Ikea, oltre a essere la capitale del design.
La tua storia si riflette anche nelle storie dei dipendenti Ikea?
Sì, da noi una parte della selezione si basa sugli aspetti valoriali. Questo fa sì che le persone siano proprio il nostro punto di forza, portatrici di valori condivisi. Diversamente dalle competenze, che possono essere sviluppate nel tempo e che sono una nostra responsabilità, per i valori non è così: o li hai o non li hai.
La formazione può essere utile anche per modificare la cultura, non credi?
Certamente, infatti, stiamo lavorando molto sulla formazione, con l’obiettivo di rendere tutti consapevoli che il mercato e il consumatore sono cambiati. In passato aprivamo le porte dei nostri store e le persone ci sceglievano per i nostri prodotti dal “design democratico”, adesso i clienti hanno esigenze diverse con bisogni diversi. Il nostro lavoro oggi è capire meglio questi bisogni, dimostrandoci proattivi. Abbiamo un programma di formazione multicanale per tutta l’azienda per fare in modo che tutti siano consapevoli delle nuove modalità di approccio al consumatore. Infatti i clienti hanno a disposizione i nostri store, i Pick Up and Order Point, possono acquistare online e acquisire maggiori informazioni sui prodotti prima dell’acquisto. Questo li rende preparati ed esigenti. La nostra sfida è quindi anche quella di essere pronti a garantire un’esperienza di acquisto in linea con le loro aspettative grazie all’impegno e alla preparazione delle nostre risorse. Per questo la People Strategy di Ikea mette al centro il talento, la competenza e la passione di ogni “co-worker”. Ognuno di noi può contribuire in modo significativo al nostro successo attraverso il proprio lavoro, alla propria crescita personale e professionale e grazie a un ambiente che lascia spazio all’iniziativa di ognuno. Siamo un’azienda fatta di persone che lavorano insieme: questo è il nostro punto di forza! Un team di quasi 7000 persone con le quali esiste un solido co-worker engagement.
Come siete organizzati?
Ikea è attualmente presente in Italia con 21 punti di vendita tradizionali, un Pop Up Store nel centro di Roma, due Pick Up and Order Point, uno a Cagliari e l’altro a Collatina, oltre ovviamente al nostro eCommerce. In ogni negozio è presente un responsabile che fa parte del management del Paese e risponde direttamente a me o a uno dei miei 3 deputy. Nella sede centrale invece lavorano i referenti di ogni funzione (dal marketing al finance, dalle risorse umane alla comunicazione, dal customer relation alle vendite) che riportano direttamente a me o sono coordinate da uno dei miei vice.
Come gestite la diversity?
Penso sia la nostra forza, perché il tema della diversity e dell’inclusione sono scritti nel Dna di Ikea fin dall’inizio. Abbiamo dei Kpi sia a livello Paese sia individuali, che -mi piace dirlo- non sono l’obiettivo ma il risultato di un modo di lavorare. La nostra è una cultura che non solo accetta ma anzi promuove la diversità, perché crede veramente che possa permetterci di raggiungere risultati migliori. Dare ascolto a punti di vista diversi è difficile, lo ammetto, perché ciascuno ha il proprio background e non è facile mettere d’accordo le persone. Però quando troviamo la soluzione e tutti sono d’accordo, questa è la ricompensa migliore! Se parliamo di genere, nel top management le donne sono rappresentate al 50%, percentuale che a livello nazionale sale al 58%.
Ma la diversità non è solo di genere ...
La nazionalità è un altro elemento di diversity. Ikea ci permette di spostarci, perché crede sia un valore. Anche l’età media è un fattore di diversity importante: in Italia siamo presenti da quasi 30 anni e c’è grande fedeltà all’azienda. A questa generazione vogliano oggi affiancare anche quella nuova. Per questo abbiamo creato il programma Tomorrow People per chi vuole crescere con noi, in modo da incentivare la cultura della leadership anche tra i più giovani.
Come si fa a promuovere una cultura della diversità?
Io difendo le quote rosa, perché penso che siano necessarie per raggiungere certi obiettivi; certo, spero non siano più necessarie in futuro. Nel frattempo, però, servono. Ci sono persone che fino ad ora hanno vissuto in realtà diverse, in aziende che quasi naturalmente pensano solo a una successione fatta da uomini. Questo circolo vizioso deve essere interrotto. La diversità è sicuramente più complessa da gestire ma ci sono molti studi che dimostrano che un’azienda “diversa” è più ricca ed è più profittevole. Implementare misure che “obblighino” alla diversity è all’inizio necessario, l’unico modo per accelerare un cambiamento, anche ricorrendo a mentorship esterne. Mi considero un’attivista su questo tema! La diversity fa parte degli obiettivi che mi vengono dati come Amministratrice delegata. Due volte l’anno effettuiamo un allineamento anche su questo tema, dove mi viene richiesto non solo di lavorare per le quote rosa nelle aree dove c’è una predominanza maschile ma anche di fare il contrario, c’è reciprocità. Ad esempio in questo momento stiamo facendo un grosso sforzo per assumere uomini nel reparto casse. La diversità, ne siamo certi, è più arricchente, a tutti i livelli. Chi non condivide questi valori non può trovarsi bene con noi.

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