Più diversity per avvicinarsi al cliente

Tanya Kopps, Ceo Metro Italia
Tanya Kopps, Ceo Metro Italia
Metro Italia ha un nuovo Ceo, Tanya Kopps, prima donna a ricoprire questo ruolo nel nostro Paese, una carriera internazionale che le ha insegnato il valore della diversità e del localismo (da Mark Up n. 272)

Tanya Kopps, recentemente nominata Ceo di Metro Italia, arriva da una carriera internazionale, è americana, dello Iowa, ha vissuto a Chicago, ma il suo percorso professionale si è sviluppato in Europa e, tranne un anno da avvocato in patria, tutta in Metro. Ma lasciamo la parola alla diretta interessata ...

Come sei arrivata qui?

È una storia lunga, sei sicura di essere pronta ad ascoltarla?

Sono americana, mio marito invece è tedesco, per lui mi sono trasferita in Europa, ancora prima di sposarci; è stato allora che ho cominciato a lavorare per Metro, come project manager nell’area finanziaria. Dopo mi sono trasferita tante volte, in sette nazioni diverse, ma sempre per Metro: Germania, Romania, UK, Ungheria, Spagna, Portogallo e mio marito mi ha seguito ad ogni tappa. Principalmente ho lavorato nell’area finanziaria, diventando Cfo in Spagna, poi sono stata nominata Ceo in Portogallo e infine in Italia sempre come Ceo.

Sono arrivata in Italia a maggio, in un periodo di transizione perché naturalmente Claude, il Ceo prima di me, mi sta aiutando a integrarmi e inserirmi. Ora siamo nella fase conclusiva di questo periodo.

Come viene gestita la diversity in Metro?

È un tema importante per Metro in generale, quindi anche per Metro Italia. Nel board ci sono già alcune donne, ma sono la prima donna Ceo in Italia e credo che sia un segnale che sottolinei come la diversity sia importante per il gruppo. Il motivo? Dobbiamo riflettere la realtà dei nostri clienti a tutti i livelli dell’organizzazione, sia che ci si riferisca al personale degli store, sia agli uffici e sia alle posizioni di leadership; solo così potremo prendere le decisioni migliori rispetto a ciò che serve ai nostri clienti.

A livello Corporate un mio collega si occupa di sostenibilità e, al suo interno, convergono i temi dell’inclusione e della diversity. Credo, inoltre, che sia importante parlare non solo di diversity, ma anche di inclusione. Sono molto attiva sia all’interno dell’azienda sia nel settore: giovedì andrò in Germania dove c’è un nuovo programma, il Women Leadership Program, per fornire ulteriore supporto per quanto riguarda le capacità di leadership entro il serbatoio di talenti al femminile. è importante avere modelli di ruolo all’interno dell’azienda, credo che anche questo faccia parte del mio lavoro. In cima a tutto questo c’è un’organizzazione chiamata LEAD, che guida i dirigenti nel portare avanti la diversity. Si tratta di una realtà relativamente giovane, di cui io presiedo il comitato direttivo, ed è molto focalizzata: per l’Europa, il retail e Fmcg (fast moving consumer goods). Sono coinvolta in questa organizzazione da tre anni e mezzo e l’obiettivo è condividere queste pratiche non solo in Metro, ma in tutta l’industry; per questo abbiamo creato una piattaforma nella quale le aziende possono trovare ispirazione.

Hai lavorato in molti Paesi, dal tuo punto di vista come è trattata la diversity in Italia rispetto ad altre realtà?

Penso che per me sia un po’ presto per esprimere un parere: sono qui solo da un paio di mesi. In azienda, posso dire che non ho avvertito nessuna barriera culturale anche se sono la prima donna a ricoprire questo ruolo; anzi le persone la vedono come un’ottima opportunità.

Certo è che in molte nazioni dell’Est Europa ci sono più donne in posizioni di leadership rispetto a quante ce ne siano nei Paesi dell’Europa Occidentale; nella mia ultima esperienza in Spagna e Portogallo, ho visto come le donne lottino per avere una promozione e come davvero facciano la differenza all’interno dell’azienda.

Che tipo di profilo cercate per le persone in Metro?

Siamo un’azienda internazionale, quindi all’interno di ciascuna organizzazione nazionale ci sono possibilità per ogni tipologia di persone.

Non direi che esista un profilo “adatto a Metro”, ma ci sono, invece, dei fattori prioritari, dei principi che sono importanti: come la leadership per esempio, lo spirito imprenditoriale e il mettere sempre il cliente al cuore di ciò che stiamo facendo. Importante, infine, la forza delle relazioni: sappiamo che, all’interno dell’azienda, le relazioni professionali sono la chiave. Il tutto, senza dimenticare la sostenibilità del business. Quindi, per rispondere alla tua domanda: “Chi è la persona adatta a Metro?” dico che è chiunque abbracci questi principi.

E a proposito dei vostri clienti? Metro è cambiata molto ...

Metro non è più solo un cash & carry: offriamo anche soluzioni digitali, un aspetto importante per il futuro del business horeca. Vogliamo essere davvero “il” partner, il numero uno per il cliente horeca.

Quando parli di soluzioni digitali a cosa ti riferisci?

è un servizio che offriamo gratuitamente ai nostri clienti: consiste in un sito che viene creato per dare loro la presenza digitale della quale oggi hanno bisogno. L’Italia è stata molto ricettiva: già oltre 12 mila clienti hanno un sito web con noi, un obiettivo raggiunto in 6-8 mesi, visto che abbiamo cominciato quest’anno.

E l’eCommerce?

All’interno del gruppo ci sono già alcune esperienze di vendite online. In Italia ancora no, ma non lo escluderei in futuro.

Le vostre Mdd stanno cambiando ...

Il 2018 è “l’anno del marchio proprio”, abbiamo inserito Metro nel naming, perché credo che il collegamento con la forza del brand sia molto importante: abbiamo Metro Chef, quando si parla di ingredienti, Metro Professional, per le attrezzature professionali per la cucina e simili, Metro Premium per l’hi-end, Aro la firma che avevamo anche in passato per l’entry level, Columbus per le soluzioni Bar, e Sigma, collegata a carta e materiali per l’ufficio.

Come funzionano i rapporti con i fornitori italiani?

Il cibo italiano è incorporato nei nostri brand, si trova direttamente all’interno, e abbiamo qualche esperienza, soprattutto in Germania, nell’aiutarli a inserire i prodotti italiani nei loro assortimenti, un’esperienza che prosegue. Un altro aspetto credo unico qui in Italia è la ricerca di fornitori locali, un approccio che credo non sia necessariamente esportabile a causa delle quantità più ridotte. Ma credo che, in termini di qualità e di relazioni, il localismo sia proprio un tema al quale sicuramente guardare per un prossimo sviluppo.

Cosa chiedete a un fornitore, per accoglierlo tra i vostri?

Prima di tutto ci sono degli standard qualitativi. Credo sia importante fornire ad altre aziende prodotti e servizi che possono fare affidamento sulla qualità, che quindi è una delle nostre priorità primarie, anche in termini di conformità. Ma la cosa più importante credo sia quella di offrire qualcosa che davvero risponde ai bisogni dei nostri clienti.

Come selezionate i fornitori?

Il fornitore può contattare il nostro ufficio acquisti, che, negli ultimi anni, si è stato rivoluzionato, perché ci siamo focalizzati molto sull’horeca e sul localismo, come detto un aspetto molto importante per il cliente horeca. Abbiamo creato una figura professionale che si colloca tra l’ufficio acquisti e la forza vendite, che chiamiamo Target Group Manager, focalizzato su hotel, bar e ristoranti, e che conosce tutto di questo target di clienti con informazioni che vengono passate ai buyer dell’ufficio acquisti. Il compito dell’ufficio acquisti è fare scouting tra i fornitori per cercare il prodotto giusto. Poi entra in gioco la Metro Academy, per testare prodotti ma anche e soprattutto per fornire ispirazione e consulenza ai nostri clienti. Tutto questo grazie a corsi di formazione, masterclass, e incontri one-to-one. Abbiamo, inoltre, uno specialista per i prodotti locali, un buyer dedicato per ciascuna area Nielsen, che fa scouting tra nuovi produttori e nuovi prodotti da valutare, che poi proponiamo ad alcuni clienti “ambassador”, più sensibili alle novità di prodotto.

Quanto delle strategie di Metro Italia vengono decise a livello locale e quanto dalla sede centrale?

Le decisioni avvengono a livello locale perché il cliente è locale: non si può paragonare una pizzeria italiana a un negozietto trader rumeno. Impossibile avere la stessa strategia. Per questo, Metro, circa tre anni e mezzo fa, ha introdotto un nuovo modello basato sulla private equity, che affida la guida della strategia locale al board di ciascuna nazione; abbiamo bisogno di essere local, perché il nostro cliente lo è.

A proposito di “localismo” dove vivi?

A Milano, ma per ora sono nomade e non vedo l’ora di stabilirmi in una casa, mio marito mi raggiungerà a breve.

Una curiosità: che lavoro fa tuo marito?

Buona domanda, non è comune che sia la donna a trasferirsi ogni tre anni con un marito che la segue. Mio marito fa l’allenatore di baseball, uno sport molto di nicchia in Europa che gli permette di trovare facilmente lavoro. Non vede l’ora di arrivare a Milano perché è considerata tra le più importanti capitali del baseball in Europa.

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