Precipitare dalla torre del successo: riflessioni dal mito greco

La mitologia greca esalta la determinazione di Agamennone nel corso della guerra di Troia. In effetti, un’analisi retrospettiva della parabola di Agamennone mostra come il re di Micene formuli un grandioso disegno strategico e guidi l’esercito panellenico da grande generale. Sull’onda dei successi passati e sospinto da spontanea propensione al rischio, Agamennone si spinge a sfidare Artemide uccidendo un cerbiatto protetto dalla dea della caccia.

Il mito greco esalta la determinazione, la fiducia in se stessi e la propensione al rischio di Agamennone. Sono queste le caratteristiche che spingono il monarca a gesta eroiche e che appaiono tutt’oggi comuni a molti imprenditori e manager di successo. Si pensi alle vicende di Apple e al celebre discorso di Steve Jobs ai giovani dell’Università di Stanford: «siate affamati, siate folli, perché solo chi è abbastanza folle da poter cambiare il mondo, lo cambia davvero». Il termine “folli” racchiude il senso di ottimismo, di fiducia nelle proprie capacità e l’attitudine al rischio. Il termine “folli” esemplifica quel senso di “tracotanza imprenditoriale” che è possibile scorgere nella storia di Agamennone.

Tuttavia, la parabola di Agamennone mostra anche come una sovrabbondante fiducia in se stessi, corredata da un approccio ingenuo al rischio, possa essere all’origine del fallimento. Non è in effetti infrequente che grandi imprenditori e manager, sospinti dalla loro hubris, ovvero da un eccesso di fiducia in se stessi e da un orgoglio smisurato, precipitino giù dalla torre del successo. Quando un’impresa realizza performance straordinarie e il suo management è celebrato dai mass media e dall’opinione pubblica, i processi decisionali possono venire progressivamente intossicati dalla hubris manageriale, un bias cognitivo che, in qualsivoglia scelta strategica, altera la capacità del manager di riconoscere i propri punti di debolezza e di concentrarsi sui propri punti di forza.

La hubris indurrà il manager o l’imprenditore a credere di essere un novello Re Mida. Come tale, egli confiderà di possedere la capacità di trasformare qualsiasi cosa in oro, ovvero qualsiasi business in un business vincente. Tale distorsione cognitiva conduce a smarrire il contatto con la realtà, per cui il manager considererà inverosimile che una strategia da lui formulata possa non essere di successo. La hubris procura infatti un’ingiustificata percezione d’invincibilità, una ricorrente e ostinata sottovalutazione delle capacità competitive dei rivali, una scarsa capacità di empowerment dei collaboratori e un credito smisurato nelle proprie “eccezionali” capacità di unico leader e stratega dell’organizzazione. Se il successo dell’impresa è simile a quello di un’opera teatrale, ovvero esso è codeterminato dalla prestazione dell’orchestra, del coro e del corpo di ballo, il manager affetto da hubris considera invece se stesso come l’unica risorsa rara e di valore.

Pavoneggiandosi dei brillanti risultati conquistati e delle lodi pubbliche ricevute, come Agamennone nella tragedia greca, il manager o l’imprenditore affetto da hubris diviene altero e borioso, presuntuoso e arrogante, convinto della propria infallibilità e orientato a impegnarsi in strategie oltremodo rischiose. La storia contemporanea fornisce numerose esperienze di grandi manager e imprenditori che, dopo performance stupefacenti, vengono accecati dal loro successo e spingono le loro imprese sul precipizio del fallimento. Si pensi alla crescita rapida via acquisizioni effettuate sulla scorta di un’analisi strategica approssimativa della Royal Bank of Scotland di Fred Goodwin e all’entrata nel mercato tedesco contraddistinta da un atteggiamento americano-centrico scarsamente sensibile alle specificità locali del colosso statunitense Wal-Mart. In entrambi i casi, il mercato e i valori condivisi dall’impresa s’incaricano di giocare il ruolo della Némesis (nella mitologia greca, il castigo divino al peccato di superbia degli uomini) e pertanto il fallimento delle scelte strategiche ispirate dalla hubris diviene evidente.

Peraltro, il manager affetto da hubris assai difficilmente riconosce di avere tale distorsione cognitiva. È dunque necessario che i processi decisionali siano caratterizzati da un clima aperto e di condivisione per evitare che il manager, “ebbro” dei propri successi, si faccia contagiare dalla hubris. Una regola aurea manageriale dovrebbe essere pertanto: promuovere processi decisionali inclusivi, prima che sia troppo tardi.

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