Quality Award 2017: il free from piace

Il Premio Quality Award ideato da Marketing Consulting e attribuito ai prodotti alimentari (Food & Beverage) coinvolge un campione ampio di consumatori in test degustativi condotti da laboratori indipendenti

Nella definizione di qualità di un prodotto incidono parametri disparati: gusto personale, etichetta, brand, packaging. Fino alle differenze culturali e persino genetiche. A cercare una chiave di lettura, il più possibile oggettiva, ci prova il Premio Quality Award, giunto alla seconda edizione, ideato da Marketing Consulting. Si tratta dell’unico riconoscimento in Italia attribuito ai prodotti alimentari (Food & Beverage) che coinvolge un campione ampio di consumatori in test degustativi condotti da laboratori indipendenti, sparsi su tutto il territorio nazionale, specializzati nell’analisi sensoriale. Prove condotte con trecento consumatori in target rispetto al prodotto di riferimento, i cosiddetti heavy user. E in blind, senza cioè che venisse mostrata la marca di appartenenza. La scheda di valutazione è articolata: comprende gradimento globale (inclusa l’etichetta), sapore, odore, aspetto, consistenza palatale. Il prodotto in test ottiene il riconoscimento Quality Award (valido per un anno intero) solo se il gradimento complessivo medio dei consumatori è pari o superiore a 7 in una scala da 0 a 10, il sapore è pari a 6 e il 60 per cento dei consumatori si dichiara favorevole all’acquisto. “Ogni parametro -ha spiegato Antonio Decaro Marketing & Sales Manager di Marketing Consulting- ha poi aspetti più specifici di valutazione: il sapore di una pizza viene declinato, per esempio, in sofficità e fragranza, l’etichetta ingredienti in like e dislike. Per un’azienda questo è utile per capire anche quali siano le aree di miglioramento”.

La premiazione, che si è svolta a Milano, presso Palazzo Visconti, ha riguardato una quindicina di prodotti. Da un’analisi dei vincitori si possono fare alcuni rilievi. Quando il prodotto è spogliato del brand e del packaging possono esserci, per esempio, delle sorprese. E qualche outsider può giocarsi carte migliori. “Una buona parte dei prodotti testati, e che oggi sono anche degli evergreen a scaffale, non supera la soglia dei sette decimi –ha rimarcato Decaro–. Questo non significa che il prodotto sia visto negativamente, ma che spesso è vissuto con la marca”. Va però specificato che non conosciamo l’elenco degli esclusi (i prodotti testati sono stati circa duecento) e i numeri in dettaglio sulla base delle differenti categorie. Sarebbe stata una cartina di tornasole importante per capire meglio le scelte.

Una considerazione sul trend. Si conferma lo spaccato emerso dal rapporto Coop 2016: il mercato tende a cercare il cibo naturale, bio, healthy, l’etichetta pulita, il vegan, il ready to use. “Il fatto che si siano presentati per i test diverse aziende che propongono la filosofia del “free from” –ha sottolineato– è indice anche di quello che il consumatore ricerca sul mercato. Nella componente dolciaria il discorso salutistico attrae meno, ma su altre categorie, prodotti 100 per cento vegetali, funzionali, bio attira invece un certo consumatore”.

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