Quel fattore umano che fa la differenza

ad Conad pugliese
Per crescere i numeri servono, ma è necessario adottare una visione più ampia che tenga conto del valore di ogni persona (da Mark Up n. 263)

Partendo dal claim come Persone, oltre le cose, ecco come Conad declina il rapporto con il personale, i soci, gli imprenditori, i manager. La parola a Francesco Pugliese, Ad di Conad.
Cosa significa per Francesco Pugliese mettere le persone al centro?  
È un principio della cooperazione mettere al centro la persona. Per un’azienda, in questo momento storico, significa adottare modelli di sviluppo sostenibili, che non mirino solo alla crescita del fatturato, ma tengano in eguale considerazione dignità e crescita di dipendenti e collaboratori, compatibilità ambientale, ripercussioni delle proprie scelte sull’ambiente.
E per un retailer?
L’attenzione alla persona deve essere continua e coinvolgere l’intera comunità di cui quella persona è parte, comunità di cittadini e dipendenti che siano. Il sistema cooperativo ha come obiettivo la creazione di lavoro e la crescita professionale dei propri attori: Conad non tradisce tale spirito. Da tempo ci siamo imposti un codice etico con il quale ci impegniamo a promuovere la crescita professionale dei nostri lavoratori.
La difficoltà nel trovare talenti è un problema anche del retail?
Il vero talento è pressoché unico, fatto di capacità innate, gavetta, tante esperienze lavorative e umane, voglia di mettersi in gioco. Il ruolo di un’impresa cooperativa di imprenditori dettaglianti indipendenti è uno stimolo ulteriore. La logica è quella di una grande famiglia in cui si discute e si confrontano esperienze e capacità differenti per fare crescere i componenti e contribuire al benessere di tante comunità locali. In quest’ottica, da alcuni anni sosteniamo il progetto Resto al Sud Academy, un incubatore gratuito di talenti digitali nato con l’intento di aiutare i giovani che risiedono in quartieri disagiati di alcune grandi città del Sud Italia e che hanno un’inclinazione per l’innovazione e i social media a prendere coscienza che si può rimanere nel Mezzogiorno a lavorare, senza dover cedere al disagio.
Cosa significa avere talento nel retail?
Come ho puntualizzato nel libro Tra   l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia che non c’è, per me significa essere leale, non fedele. Significa, in nome della fiducia e della competenza, segnalare ciò che non va, cercare la soluzione migliore ad un determinato problema, avere un’idea, per crescere, per migliorarsi, senza timori reverenziali nei confronti di un capo. Significa fare innovazione. È questa collaborazione leale a premiare
l’azienda; la fedeltà, invece, induce a fare ciò che non dispiace al capo e non lo fa arrabbiare, ma non porta da nessuna parte.Nel retail, va aggiunto l’intuito del venditore: capire con anticipo dove va il mercato e offrire ai consumatori ciò di cui hanno bisogno in quel momento.
Le caratteristiche di una persona per entrare in Conad.
Contano sì competenze, esperienza e capacità di innovazione, ma resta essenziale la consapevolezza dell’importanza di saper costruire relazioni nel proprio ambiente lavorativo, di apprezzare i valori della mutualità e della transgenerazionalità. Non ultimo l’attenzione al cliente.
Quanto ha contato per te avere maturato esperienza in altri settori?
Per tutti è un grande valore aggiunto. Nel mio caso avere lavorato a lungo in un settore diverso dal retail mi ha permesso in Conad di guardare i fenomeni da differenti angolazioni. Essere stato manager in grandi industrie alimentari mi ha dato anche il vantaggio di conoscere perfettamente le logiche dei fornitori, di parlare il loro stesso linguaggio.
Perché nel retail i primi livelli sono quasi tutti uomini?
Su questo aspetto il retail non si differenzia dagli altri settori. I risultati della recente ricerca Women at the Top di Boston Consulting Group e Valore D ci dicono che nel nostro Paese solo un manager su cinque (22%) è donna. L’Italia è al penultimo posto in Europa nella classifica Ocse dell’occupazione femminile, davanti solo alla Grecia. Un gap frutto di un retaggio culturale che non riusciamo a scrollarci di dosso. La mentalità sta cambiando, ma per colmare il divario si deve cominciare ad annullare questa disparità tra le mura domestiche.
Come si stimola l’innovazione nel retail?
L’innovazione oggi deve essere un valore guida, una voce sempre presente nei bilanci di un’impresa. La vera innovazione nasce dalle idee, che nascono negli ambienti dove è favorita la trasmissione dei saperi tra generazioni diverse e lo scambio di pensieri. In altre parole, dalla relazione, che nel retail si traduce nel rapporto umano tra le risorse interne e nell’ascolto costante del cliente.
E tra gli imprenditori, invece?
Devono uscire dal proprio guscio e sviluppare relazioni con il mondo esterno. Le idee non arrivano nell’isolamento del proprio ufficio, ma respirando altre atmosfere e scambiando esperienze.
Capire i clienti passa dai numeri o dalle persone a contatto con loro?
I big data sono merce preziosa per un’azienda commerciale. Ti permettono di fare analisi quantitative e qualitative, intercettare tendenze, adeguarti alla domanda del mercato e intuire in quale direzione concentrare gli investimenti. Preziosissime le informazioni di istituti di statistica ed enti di ricerca. Nonostante, ciò la comprensione del mercato passa anche attraverso il cliente: quindi le persone Nei negozi entra tutti i giorni un piccolo variegato “campione” del mercato: il compito di chi è dall’altra parte del bancone o della cassa è osservarlo con attenzione. Ogni cliente con i propri comportamenti è in grado di restituire uno spaccato della realtà più vivido e immediato di tante ricerche. Anche per questo chi perde il contatto con il proprio pubblico ha già perso.

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