Quote latte, un addio con incognite irrisolte

Dopo 30 anni va in archivio in Europa il regime delle quote latte con un senso diffuso di liberazione che nasconde parallelamente molte insidie. Si può produrre latte quanto si vuole, senza più vincoli e senza freni. Sarà il mercato e l’andamento dei prezzi a determinare le dinamiche future. Non pare esserci rimpianto per il modello vecchio, ma sicuramente la fase di transazione si rivela con tutte le sue scomodità. C’è anche chi -seguendo strade differenti- sta impostando scenari ibridi: adottando quote “private” e pilotando la difesa del prezzo. È il caso di alcuni consorzi Dop.

Scenario globale. Il futuro è legato a dinamiche mondiali. Che vede alcune aree (come quella europea) in sovraproduzione rispetto al fabbisogno interno e altre (per esempio in Asia) deficitarie. L’Ue vede nell’affermazione dei mercati emergenti l’occasione per consolidare il ruolo di leader dell’export: e per questo dice addio alle “sue” quote di autodisciplina. E invita gli italiani ad approfittarne come gli altri produttori europei. L’embargo russo ha creato problemi nuovi. Il nuovo livello dei cambi dell’euro offre, al contrario, una serie di opportunità. Nel prossimo semestre l’incremento Ue non dovrebbe rivelarsi esagerato e potrebbe restare al di sotto del 2%. L’Italia? Trasforma la metà del proprio latte in formaggi a certificazione d’origine e l’autoapprovvigionamento arriva a circa due terzi del fabbisogno esponendo il sistema alle dinamiche internazionali. In più, rispetto agli altri, deve pagare le multe arretrate (quelle almeno ancora esigibili: 2,1 miliardi di euro).

Dinamiche interne. Il mercato domestico sta attraversando un periodo non facile. Nel 2014 le principali categorie hanno chiuso con un trend a volume negativo rispetto all’anno precedente: fresco (-7,1%), UHT (-2,0%), yogurt (-1,9%), formaggi freschi (-2,4%). Anche nei primi mesi del 2015 si è confermato un andamento negativo verso l’anno precedente (dati dell’industria). Più che di un mercato in crisi, sarebbe però più corretto parlare di un mercato in trasformazione dove, per esempio, cambiano le abitudini della prima colazione, un trend che coinvolge in particolare i ragazzi i quali consumano sempre meno latte e per meno anni. Cala, a causa del trend demografico, il numero dei consumatori tradizionali e i consumatori extracomunitari hanno abitudini alimentari a volte molto diverse dalle nostre. Inoltre, si registra un aumento delle persone intolleranti al lattosio. Non mancano, però, le opportunità e i segmenti da sviluppare. Alla famiglia tradizionale si aggiungono quei consumatori che ricercano prodotti “nuovi”, capaci di essere nutrienti e allo stesso tempo rispettosi del loro benessere. Sollecitazioni alle quali l’industria risponde con una forte spinta all’innovazione.

Visione dei protagonisti. Quali conseguenze si aspettano i protagonisti industriali dopo la fine del sistema delle quote latte? “Nei prossimi mesi non mi aspetto conseguenze particolari -sostiene Luciano Negri direttore commerciale e marketing di Arborea-. Mentre a medio termine ci sarà sicuramente un aumento produttivo. La vera domanda, però, è quanto crescerà la produzione. E dove crescerà. In Italia si può ipotizzare una maggiore concentrazione della produzione in quelle aree in cui già oggi è possibile produrre a minori costi. Mentre le altre zone d’Italia potrebbero avere dei problemi. Un aumento della produzione può portare a un crollo del prezzo e se questo sarà prolungato, alla lunga potrebbero reggere solo le aziende più solide e ben organizzate”.
“Già alla fine del 2014 e nei primi mesi del 2015 gli effetti erano evidenti in termini di incremento di produzioni di latte -spiega Tiziano Fusar Poli, presidente di Latteria Soresina- insieme all’embargo alla Russia, tutto ciò ha provocato un abbassamento delle quotazioni del latte alla stalla a livelli insostenibili per noi italiani. Rispetto ad altri Paesi europei, noi italiani paghiamo un gap in termini di costi di 5-6 centesimi (ndr: 35 cent vs 28 in Polonia e 30 in Cechia), determinati da un’inefficienza di sistema di Paese. Il primo fattore che ci mette fuori mercato è quello degli affitti del terreno, molto più alto di quello francese e tedesco. Poi c’è il costo dell’energia e il costo rappresentato da una burocrazia inefficiente. Noi abbiamo bisogno di aiuto nella riduzione di questi costi, poi noi faremo la nostra parte anche perché abbiamo delle carte da giocare che altri Paesi non hanno. A partire dalle Dop come il Parmigiano e il Grana Padano, produzioni che assorbono quasi il 50% del latte prodotto in Italia. Prodotti con un grande valore che però dobbiamo imparare a promuovere come sistema Paese in maniera univoca ed efficace senza disperdere le risorse come è stato fatto in passato”.
“Di sicuro ci saranno degli effetti, ma non immediatamente. La competizione sarà più dura e cresceranno probabilmente anche di molto i produttori più competitivi e quelli che hanno una migliore qualità. Ma -considera Marco Luzzati, direttore commerciale di Centrale del Latte di Torino- prevedo che il percorso sarà piuttosto lento”.

L’export continua a crescere. Calo dei consumi interni e globalizzazione spingono inevitabilmente a guardare con crescente attenzione ai mercati esteri ai quali le industrie italiane si presentano forti dell’alta qualità dei loro prodotti. “A inizio anno -afferma Tiziano Manco, direttore marketing di Gruppo Granarolo- abbiamo inaugurato l’ufficio commerciale a Shanghai che ci consentirà di presidiare meglio il mercato cinese. Un’altra operazione recente riguarda il Cile in cui siamo entrati con un presidio sia commerciale che produttivo. L’obiettivo è quello di arrivare a una quota di export sul nostro fatturato del 35% nel 2016”. “Abbiamo avviato -spiega Fusar Poli- una strategia che potremmo definire più di internazionalizzazione che di semplice esportazione, andando cioè direttamente nei mercati esteri; è il caso per esempio degli Stati Uniti, oggi il nostro primo mercato di esportazione, dove abbiamo aperto una filiale. Questa scelta ha spinto le nostre esportazioni che hanno raggiunto i 64 milioni di euro; nel 2014 il solo Grana Padano è cresciuto del 27%. Nel tempo si aggiungeranno altre filiali in altri Paesi”. E Negri così afferma: “Storicamente il Nord Africa, in particolare la Libia, è sempre stato molto importante per il nostro UHT. Nel tempo è cresciuta la domanda asiatica: Cina, Taiwan, Hong Kong, Corea e Indonesia”.

Innovazione essenziale
“Abbiamo fatto dell’innovazione prodotto un asset essenziale -afferma Tiziano Manco, Granarolo- con cui crescere anche in un contesto di mercati in flessione”. Da citare il lancio di Yomino, lo yogurt squeezable adatto a bambini 4-10 anni: il Gruppo Granarolo ha raggiunto, a tre anni dal lancio, oltre il 20% di quota valore nel segmento yogurt per bambini. Altro progetto d’innovazione fondamentale è stato lo sviluppo del brand Accadì, la marca dedicata alle persone che hanno difficoltà a digerire il lattosio. Il successo di Accadì stato tale che è diventata una marca di riferimento per questo target perché è l’unica presente in tutte le principali categorie dairy: mozzarella, stracchino, ricotta, mascarpone, panna UHT, panna pastorizzata a temperatura elevata, yogurt e burro ad alta digeribilità; prodotti che registrano crescite importanti e che, avendo un prezzo/kg più alto rispetto ai prodotti standard, aiutano anche la crescita del valore delle categorie in cui sono inserite. Anche Arborea ha ampliato la famiglia dei prodotti senza lattosio. “In Sardegna c’è il più alto numero di intolleranti -aggiunge Luciano Negri di Arborea- Inoltre abbiamo ampliato il segmento degli yogurt orientandolo più verso i dolci. C’è poi la linea Wey: una bevanda a base di siero di latte con aggiunta di purea di frutta”.

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