Rapporto Istat 2019: continua la stagnazione, ma l’industria è resiliente

Rapporto Istat
Le migliori opportunità nel turismo, nell’agricoltura e nell’internazionalizzazione; vincente fare rete ed essere sostenibili

“C’è il 65% di probabilità che si abbia una contrazione nel secondo trimestre 2019 come del resto anche in altre economie internazionali”. Così il presidente dell'Istat Gian Carlo Blangiardo apre l’illustrazione del Rapporto Istat 2019, osservando che in aprile c’è stato un calo della produzione industriale tedesca (-2,5%) che non può non avere ripercussioni analoghe nel nostro Paese.

Una ripresa frammentata quella italiana. Lo scorso anno il Pil è passato da +1,7% al +0,9% e potrebbe subire ulteriori rallentamenti nei consumi, arrivando al +0,3 nel secondo trimestre 2019. Tuttavia gli investimenti hanno rappresentano la componente più dinamica della domanda, con un aumento del 3,4%. L’occupazione aumenta dello 0,9%.

Dunque dal 2011 in poi ci sono segnali di ripresa rispetto alla crisi, ma non abbiamo mai recuperato il sistema produttivo antecedente, e se assistiamo ad una ripresa è selettiva. Nel biennio 2015 2016 la produttività del lavoro delle imprese è complessivamente aumentata (+5.8%) con miglioramenti soprattutto nel settore industriale, ma resta ancora inferiore ai livelli del 2011 (-4%).

Secondo un nuovo indicatore di Rilevanza Sistemica (Iris) negli anni 2011-2016 le imprese dopo la crisi si sono spostate verso livelli più elevati di sistemicità hanno intensificato le interazioni soprattutto nei servizi. La ripresa ha prodotto una trasformazione strutturale nel mondo imprenditoriale con due spinte che sono andate in direzioni diverse: la fascia alta ha incrementato la capacità di interazione, uscendone vincente, mentre le Pmi sono state spesso soppresse da start up in grado di fare rete e specializzarsi.

Il debito pubblico pesa, ma crescono le azioni di sostenibilità

Caldo anche il tema del debito pubblico, centrale nel tentativo di evitare la procedura di infrazione europea. A fronte di un debito pubblico in crescita, le imprese sono in controtendenza. L’indebitamento netto in rapporto al Pil nominale è sceso dal 2,45 al 2,1%. Il saldo primario ha raggiunto l’1,65 in rapporto al Pil collocandosi sopra le media dell’area euro. Tuttavia, tali progressi non sono stati sufficienti ad arrestare la dinamica del debito, la cui incidenza sul Pil nominale è salita al 132, 2% in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al 2017.

Altra notizia confortante è che la crescita, benché poca, è sostenibile e l’Italia è il Paese più attento a questo aspetto in Europa. Abbiamo ridotto il consumo di risorse naturali e l’intensità dell’energia primaria è diminuita del 13,1% nell’ultimo decennio. Lo scorso anno abbiamo raggiunto il 17% di consumi coperti da fonti di energia rinnovabile.

Le dinamiche sul food e l'importanza delle filere

Si inserisce quest’anno tra le novità del rapporto anche l’analisi sull’acquisto di beni alimentare classificati in base alle fasce di prezzo. Molti prodotti a fascia bassa di prezzo sono in calo attorno al 10%, ma tra alcuni di quelli in fascia alta si segna anche un -30%. Tra questi si osservano tuttavia delle eccezioni, come l’olio di oliva, prescelto soprattutto nella fascia medio alta con un’attenzione importante alla sostenibilità.

Quanto alle filiere quelle in cui la produzione è centrale, sono quelle che riescono a presentare maggiore sviluppo per la loro maggiore capacità di integrazione e interazione.

Generazioni a confronto

Dal punto di vista demografico invece le industrie dovranno essere sempre più attente al consumatore anziano. I baby boomer hanno esaurito le risorse della generazione successiva, ma ci si può consolare con il fatto che tra i 65 e i 74 si hanno persone molto attive anche economicamente. Al contrario, più della metà dei giovani italiani tra i 20 e 34 anni vive in casa con i genitori perché non ha un lavoro che consenta la solidità economica per dare corso a un progetto di vita.

Per i giovanissimi in cerca di occupazione il trend vincente è sempre quello degli studi superiori, la laurea. Le imprese cercano professionisti qualificati con skill elevate, tuttavia il 42% dei laureati rientra nel fenomeno mismatch, ovvero non è sfruttato per i suoi studi.

Insomma l’Italia non sa riconoscere il valore dei propri giovani generando spreco economico oltre che frustrazione sociale. Si osserva tuttavia che il 14,3 degli occupati non soddisfatti del proprio lavoro si trova in imprese di piccole dimensioni mentre, i più soddisfatti, sono coloro che lavorano in aziende orientate all’internazionalizzazione, e rappresentano il 19% del totale.

In generale si registra un miglioramento dal 2008 al 2018: salute, sicurezza sono in crescita e dal punto di vista produttivo il turismo, l’agricoltura, le filiere integrate possono dare le opportunità migliori. Nonostante ciò i giovani hanno un livello di povertà importante. “La differenza di povertà per classi di età esiste e non è banale” avvertono dall’Istat.

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