Reverse charge: perché non piace all’industria

di Raffaella Pozzetti

Un’esposizione contabile senza precedenti questi 8 miliardi di euro qualora l'ipotesi dovesse ricevere l'ok dall'Ue, che comunque mostra più di una perplessità in merito alla sua attuazione. Posto che la reverse charge non piace né all'industria né alla distribuzione, è proprio l'industria che avrebbe più da perdere dall'inversione contabile. A dirlo, per esempio, è Roberto Bucaneve vicedirettore generale di Centro Marca, a margine del convegno “Consumi Food 2015: scenario economico, previsioni, valutazioni delle imprese industriali e distributive”, svoltosi stamattina a Milano. “Se si attua la reverse charge – osserva Bucaneve - si consolida l'idea che ci siano delle porzioni dell'economia, in questo caso le imprese dell'industria, che possono diventare creditori dello stato a lungo termine”. Le aziende, cioè, diverrebbero dei veri e propri finanziatori dello stato, perché il fenomeno reverse charge determina un'espansione dei crediti Iva, da parte dei imprese verso lo stato. “E l'idea che le imprese possano diventare finanziatori dello stato – conclude Bucaneve - è chiaramente un limite allo sviluppo del business, soprattutto in una fase come questa, in cui c'è bisogno che le aziende investano”. Non è tutto: se oggi l'Iva dai clienti viene pagata a 30 o 60 giorni, con la reverse charge si rischierebbe di riceverla dopo un anno. Non dimentichiamo infine che se, da un lato, il gettito previsto per l'inversione contabile è di circa 800 milioni di euro, dall'altro comporterebbe una cambio radicale della gestione contabile delle aziende.

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