Riforma Titolo V: nuovo conflitto tra Stato e Regioni

Analisi – Ancd rivendica la competenza statale nel commercio come driver di sviluppo economico. Il ruolo di Regioni e Comuni è però fondamentale

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Ritorno al futuro. Se dovessimo sintetizzare con un riferimento cinematografico le richieste di Ancd (ma anche di Federdistribuzione), il film di Robert Zemeckis sarebbe perfetto: si perora un ritorno ai tempi precedenti alla Bersani, quando per più di trent'anni il commercio rimase normato dalla 426, sempre criticata dalla Gdo. Che oggi è stanca dell'Italia dalle 20 legislazioni, dimenticando che la riforma del titolo V nel 2001 andava in una direzione di liberalizzazione e prossimità (vicinanza al cittadino) che, pur maturata in una temperie politica diversa (dinamizzata dalla spinta centripeta del federalismo) conserva ancor oggi una sua coerenza e attualità socio-culturale prima ancora che politica. Ma il paradosso consiste anche nel fatto che lo Stato - attraverso i pareri e gli interventi dell'Agcm, e dei pronunciamenti dei Tar, del Consiglio di Stato e soprattutto della Consulta - è diventato in questi (almeno) ultimi dieci anni promotore di sviluppo e rispetto della concorrenza in opposizione a un atteggiamento normativo-legislativo delle Regioni non di rado tendenzialmente conservativo e frenante, per non dire ingessante e inibente. Questo è un dato di fatto, ma non è altrettanto scontato quello che pensa la Gdo, e cioè che togliere alle Regioni la competenza in materia di commercio sia la soluzione di tutti i problemi. Anche perché il commercio non è una materia isolata dal contesto della normazione urbanistica cui è fortemente integrato a partire dai Pgt comunali.

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