Ripensare i programmi di loyalty per i nuovi consumatori

Gli opninonisti di Mark Up (da Mark Up n. 267)

L’attenzione ai Millennials e alla Generazione Z è testimoniata da ricerche, convegni e studi che però spesso sembrano sottacere il fatto che proprio queste giovani generazioni, in realtà sono caratterizzate da un basso indice di fedeltà ai brand e da un basso potere di spesa. Non solo ma a differenza delle precedenti generazioni che scorgevano nel prodotto un fine (l’attestazione del raggiungimento di un traguardo) e avevano un orizzonte temporale delle proprie scelte medio-lungo -quello per intenderci del piano di risparmio per l’acquisto della casa o della lunga carriera all’interno di un’organizzazione aziendale e sociale- Millennials e Generazione Z vivono l’oggi, e per essi il prodotto è elemento di un’esperienza, non un obiettivo in quanto tale. La loro infedeltà (al brand, ma anche al posto di lavoro) nasce da questo nuovo approccio al consumo. Inoltre, rispetto alle precedenti generazioni che condividevano un più ampio paniere di ideali e di obiettivi sociali e di vita (il matrimonio, la casa e il lavoro erano il trittico di questo “altare culturale”- sono caratterizzati da un individualismo più spinto. Per citare Bauman, sono la generazione della connettività, non della collettività. Un moderno retailer deve quindi prendere atto che è necessario tenere conto di questi aspetti anche in ambito loyalty e ripensarsi e reinventarsi. Per non perdere appeal verso le nuove generazioni -senza dimenticare però le precedenti- i programmi loyalty potrebbero essere strutturati non più come rigidi palinsesti, ma in modo flessibile, permettendo ai singoli clienti di costruire un proprio programma, sulla falsariga di quanto è successo con l’arrivo di Netflix nel mondo televisivo.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome