Scarpe&Scarpe, lo sviluppo corre nei parchi commerciali

Scarpe&Scarpe
Retail Park, no al franchising e aperture estere: Nicola Conti ci racconta perché e quali saranno le tendenze per i centri commerciali nel 2019

Con Nicola Conti è sempre interessante parlare, perché si può spaziare toccando anche gli scenari dei centri commerciali e i loro attuali più e meno. Ovviamente parliamo anche di Scarpe&Scarpe una delle più grandi catene di calzature in Italia, con 146 punti di vendita in 18 regioni italiane e 130 comuni. Partiamo da qui.

Partiamo dallo sviluppo: quanti punti di vendita prevedete nel 2019?

Per quest’anno saremo allineati ai ritmi 2018, apriremo cioè 10 punti di vendita, il che non è poco, considerando che il nostro format richiede un investimento mediamente compreso fra 300.000 e 400.000 euro.

Rafforzeremo la nostra storica leadership in Piemonte, aggiungendo 2 nuovi negozi in provincia di Torino, e in Lombardia dove apriremo in provincia di Brescia. Svilupperemo anche a Roma, e raggiungeremo piazze finora non coperte, come Benevento.

Da quest’anno assumeranno importanza le rilocalizzazioni. Con 146 punti di vendita può diventare periodicamente necessario riposizionare location non più profittevoli.

I vostri punti di vendita si trovano prevalentemente in centri commerciali e retail park.

Siamo un brand da centri commerciali, ma -e questa può essere una novità- tutte le aperture 2019 (tranne Portogruaro, dove apriremo nel centro commerciale rinnovato da Scc), sono in parchi commerciali, un canale che per noi è una buona soluzione tra galleria del centro commerciale e punto di vendita indipendente (stand alone). Il parco commerciale ha il giusto mix tra fatturato e costi: incassa meno di uno store in un centro commerciale, ma realizza più vendite rispetto a un free standing registrando le migliori performance in termini di profittabilità.

La vostra rete è nord-centrica.

Siamo molto presenti specie in Piemonte e in Lombardia, ma abbiamo almeno 1 negozio per regione tranne Basilicata e Molise. Riteniamo che in Italia ci siano le potenzialità per raddoppiare la rete attuale e coprire meglio province e regioni nelle quali siamo poco presenti come Toscana ed Emilia Romagna.

Solo canale diretto? Niente franchising?

Siamo molto cauti sul franchising. Abbiamo solo rete diretta: non ci sono negozi affiliati, non escludiamo che ci possano essere in futuro. Partiremo con il franchising solo quando saremo certi di aver studiato e risolto tutti i dettagli necessari.

Avete negozi all’estero?

No. Stiamo valutando un’operazione, però è necessaria la prudenza, il successo nazionale di un’insegna non è garanzia di successo all’estero, soprattutto se non si adatta il format come hanno dimostrato esempi recenti anche nel nostro settore.

Avete innovato il format?

Sì, siamo in test. Il tema degli spazi diventa fondamentale soprattutto per entrare nei nuovi centri commerciali. Quando sono arrivato in Scarpe&Scarpe ho studiato qual era il format migliore in termini di redditività: è risultato quello compreso tra 1.000 e 1.500 mq; sotto i mille mq di vendita facciamo fatica ad esprimerci, sopra i 1.500 non riusciamo a stare nei parametri di profittabilità. Abbiamo poi introdotto un nuovo format per bacini minori, di cui abbiamo aperto il primo store a Quartu (Ca) su circa 700 mq di vendita, chiamato smart: questo format può andare bene anche per i centri commerciali, dipende dal bacino d’utenza.

Come vede il futuro dei centri commerciali?

Non vedo un grande futuro per quei centri commerciali che si limitano a svolgere una mera ed esclusiva proposta commerciale. Tant’è che anche in ambito Cncc stiamo cercando una nuova definizione. Il centro commerciale tradizionale perde interesse sia lato cliente sia lato tenant, perché non mancano alternative valide per entrambi i soggetti: il cliente può sempre trovare prodotti e prezzi migliori su internet; il tenant può cercare location più convenienti in termini di rapporto costo/benefici.

Il centro commerciale, o comunque si vorrà chiamare, dovrà andare verso due direzioni: una è quella che definirei le “nuove centralità urbane” rappresentate dai centri commerciali urbani di dimensioni medie con offerta di retail moderno, nuovi brand, servizi, ristorazione evoluta, ambiente gratificante e digitalizzazione cioè integrazione efficace tra online offline: due esempi italiani di questa tipologia sono Aura e Adigeo.

L’altra direzione del futuro è quella del “centro esperienziale” che preveda attività per il tempo libero, più edutainment, realtà virtuale, gaming, come prevede il progetto di Torino Caselle e il previsto ampliamento del Centro di Arese.

Se il centro commerciale rimane fermo al guado, e/o mi offre a costi maggiori la stessa cosa di altri prodotti distributivi, non mi conviene. Il centro commerciale deve giustificare l’extra costo che chiede. E consideri che i centri commerciali hanno bisogno di recuperare il target giovane che è propenso a consumare ristorazione e forme di intrattenimento al confine con lo sport e il ludico come il gaming o la realtà virtuale.

Voi avete 80 negozi nei centri commerciali, ma non avete aperto ad Arese

Sì, ma ad Arese hanno ricevuto una quantità di adesioni molto superiori allo spazio disponibile.

Noi siamo e rimaniamo un brand/insegna da centro commerciale, e siamo all’interno dei più importanti come Orio al Serio, Nave de Vero-Marghera, Assago, Fiordaliso-Rozzano, Stezzano, Palladio,. Non siamo riusciti a entrare in Adigeo e nemmeno ad Aura, per ragioni di format: i nostri negozi sono più grandi delle dimensioni richieste e quindi temevamo di non sapere interpretare superfici di 400-500 mq. Nella categoria delle polarità urbane i 1.500 mq sono troppo grandi. Dovremo sviluppare un format in grado di cogliere in futuro anche queste opportunità di sviluppo.

Come vede il rapporto proprietà-tenant?

Il vero problema è la rigidità di alcuni landlord su principi come quello che i canoni debbano comunque crescere, che si debbano pagare i canoni trimestrali anticipati.

In un mercato fluido e incerto ci dev’essere maggiore flessibilità, il rapporto dovrebbe essere legato ai fatturati e ai footfall con maggiore trasparenza da entrambe le parti.

Per esempio, oggi nessun centro commerciale certifica i footfall: un tema di cui si parla poco o niente.

Ci dev’essere partnership e flessibilità anche sulla durata temporale del contratto e, ripeto, trasparenza soprattutto sui dati disponibili e sulle performance reali dei centri, dati che è difficilissimo avere.

In questo discorso rientrano anche l’eCommerce e il multichannel?

Sì, anche se per noi l’eCommerce pesa in termini di vendite quanto il fatturato di un punto di vendita. L’obiettivo è di arrivare al 3-4% del giro d’affari totale della catena. Ma se la quota è ancora piccola, l’eCommerce apre un discorso più complesso sul piano dell’organizzazione e dell’integrazione fisico-online.

L’online serve anche a creare traffico dal sito al punto di vendita, e viceversa per stimolare il “reverse ecommerce” (ritorno sull’online da fisico).

Sul sito eCommerce il cliente può verificare quali prodotti sono disponibili su punto di vendita, acquistare e ritirare nel negozio entro 4 ore; oppure lo ordina online, lo riceve a casa e poi può renderlo in negozio.

Nei punti di vendita più piccoli, che non dispongono di tutta la collezione, con il qr code il cliente accede all’intera collezione disponibile online: può acquistare un prodotto e riceverlo a casa o sul punto di vendita.

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