Sicilia, un’isola con una vocazione agricola

La regione ha una posizione strategica al centro del Mediterraneo che ne fa un ponte naturale tra l’Europa e l’Africa (da Mark up n. 269)

La Sicilia è, principalmente, agricoltura. È sufficiente attraversare l’isola per rendersene conto.

Declivi ricoperti di grano e seminativi si alternano a vigneti, frutteti, uliveti, campi di ortaggi. Dove la tecnologia lavora a supporto della tradizione, perché la terra è generosa, le condizioni climatiche favorevoli, l’accesso alle risorse idriche, per quanto problematico o difficoltoso, comunque esiste.

La regione ha una posizione strategica al centro del Mediterraneo che ne fa un ponte naturale tra l’Europa e l’Africa. Per questo motivo l’agricoltura siciliana fornisce prodotti la cui qualità è apprezzata sul mercato interno ed estero e la parola “Sicilia” ha una sua forza evocativa di brand che può ulteriormente favorire la crescita, in valore, del comparto agricolo. Sono proprio i mercati esteri quelli che riconoscono il reale valore aggiunto della produzione siciliana ed è facile incontrare aziende agricole che sviluppano o hanno sviluppato la maggior parte del loro fatturato Oltralpe, prevalentemente in Francia, Germania, Regno Unito e Usa. Particolarmente interessante è l’incremento della domanda di frutta tropicale Made in Sicily da parte della distribuzione moderna. In Sicilia però si fatica a creare valore aggiunto. Nell’isola vi sono più di 220.000 aziende agricole e, di queste, più della metà ha una superficie media di circa 2 ha, con una redditività media per ettari di 4.000 euro all’anno (fonte: Ue - Piano di Sviluppo Rurale Regione Sicilia). L’isola con 299.639 ettari è la prima regione d’Italia per produzione biologica (davanti a Puglia e Calabria, dati Ismea 2017). Non è soltanto per il fatto che ha individuato un trend di mercato, per di più oggetto di incentivi all’agricoltura, sfuttando condizioni pedoclimatiche favorevoli. Spesso la scarsa redditività non permette agli agricoltori di effettuare trattamenti fitosanitari neanche quando sarebbero necessari e allora ci si affida alla natura per portare a termine la produzione.

Circa il 70% della produzione di vino è in mano a cantine cooperative che, tranne qualche rara eccezione, vendono vino sfuso, anche di alta qualità, a quelli che nell’isola vengono chiamati gli “imbottigliatori del nord”, ossia aziende vitivinicole che hanno strutture produttive e commerciali in grado di soddisfare il mercato del vino imbottigliato in Italia e nel mondo. Le aziende imbottigliatrici mettono in bottiglia il vino sfuso siciliano, a loro marchio, e immettono nel mercato il prodotto finito, tenendo saldamente in mano i rapporti con i distributori e rafforzando il proprio brand. Il valore aggiunto e il mercato restano quindi agli “imbottigliatori del Nord”, mentre le cantine cooperative continuano a farsi la guerra, spesso solo sulla base del prezzo, per vendere al meglio loro la materia prima. Il settore vitivinicolo rappresenta già di per sé una case history di successo nell’economia siciliana: negli ultimi 10 anni, in Sicilia, sono stati investiti centinaia di milioni di euro nella ristrutturazione dei vigneti, sdoganando la produzione di varietà internazionali richieste dal mercato, come lo chardonnay, il merlot, il cabernet sauvignon: alcuni privati e le cooperative con un forte orientamento al mercato hanno colto l’opportunità.

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