Tutto cominciò con Expo. Il food era stato sdoganato, non più fanalino di coda del made in Italy: ben dopo moda e design, era stato incoronato con un successo mondiale. Di conseguenza anche tutti coloro che se ne occupavano presero coraggio (alcuni persino troppo) e si misero in prima fila per ricevere gli applausi a lungo agognati ma mai ricevuti. Quasi tutti. Prima i “foodies”, gli intenditori più o meno certificati, i nuovi Veronelli, un esercito di blogger e influencer; gli appassionati ebbero finalmente una voce e alcuni anche un lavoro.
Non dimentichiamo gli chef, i cuochi, nuove star della tv che ormai firmano di tutto, dalle patatine alle cucine. Pasticceri, gelatai, panettieri ora hanno nome e cognome, sono il nuovo lusso, le griffe chic da mettere in tavola. Abbiamo assistito alla rivalutazione del contadino, eroe proletario del secondo millennio, al cui seguito si è visto un fiorire di pollici più o meno verdi, ma determinati alla coltivazione di pomodoro da balcone e di salvia metropolitana. Chi non ha goduto per nulla di questa ondata di benevolenza sono stati i commercianti. Piccoli o grandi che fossero, a loro niente! Non un briciolo di simpatia. Ogni tanto hanno un balzo in avanti, ma subito ci pensa la tv di denuncia a risbatterli in fondo alla classifica, in compagnia di banche e assicurazioni. Talvolta evasori, talaltra bugiardi, avvelenatori, aguzzini. Ispirano un’antipatia atavica. Forse è per questo che ottengono poco o nulla dalla politica, che, si sa, è sempre molto attenta alla pancia del Paese. Un esempio? Le liberalizzazioni tanto richieste sono state concesse con il contagocce e sono sempre sul punto di essere revocate. Massacrati sui sacchetti della spesa, messi all’indice per i volantini non distribuiti, fatti attendere lustri per aprire nuovi negozi che così nascono già vecchi. Fanno notizia, ma mai nel modo giusto: le denunce dei loro dipendenti finiscono su tutti i giornali, trasformandoli negli schiavisti del nuovo millennio e non fanno eccezione i nuovi arrivati: malgrado tutti i distinguo, alla fine tra la cassiera che denuncia l’impossibilità di una pausa pipì e la ribalta dei ritmi massacranti della backroom dell’eCommerce non c’è differenza. Che siano Esselunga o Amazon, Coop o Conad: l’indice dell’opinione pubblica indignata si leva e condanna senza pietà e, spesso, senza possibilità di replica (anche perché quando viene loro offerta non la colgono, sic!) e soprattutto senza distinguo. Questo è il fatto più grave. Rassegnatevi cari commercianti, il premio come azienda dell’anno lo prenderà sempre qualcun altro, ma è giunto il momento di fare qualcosa. È tempo di fare pulizia, di spalancare le finestre e spazzare fuori la polvere delle cattive abitudini; è tempo di mettere all’indice coloro che fanno pratiche scorrette, senza se e senza ma. Non c’è più tempo, il mondo vi guarda … di traverso!