Consigli da mettere in valigia

L'editoriale della direttrice Cristina Lazzati (da Mark Up n. 280)

I motivi per guardare all’estero non mancano alle imprese italiane, il boom del food made in Italy non è sfuggito a nessuno, così come la stagnazione dei consumi che regna nel panorama nazionale, ma prima di “partire” alla conquista di nuovi mercati ci sono alcune cose di cui tenere conto.

Il libero mercato sembra diventare via via sempre meno libero: che siano minacce di dazi o chiusure di frontiere, nubi si addensano sull’Italian made. È importante, quindi, incentivare accordi che, per un paese come il nostro, così prono all’esportazione, sono vitali.

Gli assoli vanno bene solo se si ha “voce” a sufficienza, altrimenti meglio muoversi in gruppo.

Lo sappiamo, (ma non sembra incidere granché nelle scelte strategiche), spesso le nostre eccellenze se prese una ad una non hanno i numeri per poter soddisfare la domanda di un grande retailer e neppure per poter affrontare percorsi di comunicazione utili a far conoscere, e quindi, decollare un prodotto tipico. Inoltre, basta guardare fuori dai confini, banalmente Francia e Spagna, per capire che l’unione fa la forza.

Ci riuscirà anche il paese dei campanili? Speriamo

Tradizioni, materia prima, qualità, tutto bellissimo, ma non dimentichiamo in che millennio viviamo e, se il nostro prodotto non è cambiato dal 1800, la nostra azienda, invece, deve esserlo. Quindi all’estero ci si deve andare coscienti che non solo l’eCommerce è una realtà ormai radicata ma che all’interno di quell’eCommerce bisogna esserci, che si chiami Alibaba o Amazon, non è più tempo di riflessioni, il mercato passa di lì. Ovviamente questo non può prescindere da una digitalizzazione aziendale che riguardi non solo i sistemi ma anche (e soprattutto) il personale.

Cultura: non tutti i paesi sono uguali, e nessuno è uguale all’Italia: le pratiche aziendali sono diverse, così come sono diverse le logiche di approccio al paese, che siano nei confronti dei clienti finali o verso i retailer esteri è indispensabile comprendere sin da subito che non basta conoscere la lingua ma è indispensabile avere gli strumenti per capire la cultura del paese che ci accoglie. Poi ad ognuno la propria modalità, dal piccolo esportatore, al manager “in prestito”, fino all’apertura di un ufficio, meglio andare per gradi, altrimenti si rischiano strategie che poi rivelano di avere il fiato corto. Quindi, per concludere: non mollare alle prime difficoltà, piuttosto ritarare il passo e fare gruppo.

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