Osservatorio #alfemminile

L'editoriale della direttrice Cristina Lazzati (da Mark Up n. 297)

Sanremo è finito da poco e devo ammettere che mi ha molto divertito vedere i salti mortali dell’Italia pop (o del pop) misurarsi con la diversità, no non quella super chic di Achille Lauro, cui ha cooperato quel genio di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, affascinante per molti, sconvolgente per alcuni, etichettata come forma d’arte con buona pace di tutti. Il vero gap culturale è emerso nella sua magnitudo con il mondo femminile. Così Amadeus infila una gaffe dopo l’altra, si morde la lingua al quarto bellissima, chiede l’età alla Salerno, delle giornaliste televisive parla di “interezza” -“così le potete vedere nella loro interezza”, cito testualmente. Ebbene sì, anche a Sanremo, è arrivato il messaggio dell’inclusione e così si cerca di colmare un gap culturale vecchio di secoli in velocità, sperando di uscirne indenni, il risultato? Comico a tratti, tristemente becero in alcuni casi, illuminante sempre. Non basta un po’ di mestiere, nemmeno ritoccare i discorsi con una lucidata di diversità, tutto suona falso, perché in Italia, la diversità è ancora difficile da affrontare.

Il discorso non cambia per le aziende, assodato che le voci fuori dal coro facciano bene, che nei gruppi di lavoro il mix and match è uno strumento formidabile di innovazione, come arrivarci? Per iniziare, deve cambiare la cultura aziendale e perché questo avvenga, i vertici devono fare uno sforzo, uno sforzo di cambiamento. Per nulla semplice.

Negli anni ho intervistato molte donne che hanno fatto carriera nel retail e nel largo consumo; quello che le accomuna, è una determinazione fuori dal comune, una grande preparazione e la voglia di affrontare nuove sfide.

Ecco qualche spunto di riflessione. Tutte, più o meno velatamente, affermano che ogni volta l’autorevolezza del loro parere deve essere dimostrata, ogni affermazione accuratamente documentata, poco importano i successi del passato, è sempre come la prima volta, un fatto, questo, che non riguarda il genere maschile che talvolta vive comodamente di rendita su un passato nemmeno tanto prossimo.

Un’altra cosa che mi ha colpito è il diverso atteggiamento verso le riunioni, poco inclini alle chiacchiere, le donne sopportano i commenti calcistici o quelli delle performance sportive o gastronomiche dei loro colleghi, le battutine ai limiti del buongusto e faticano ad arrivare al punto, se non sorridono sono rigide, se avallano sono complici, alla fine portare a casa un risultato oggettivo è un percorso ad ostacoli. Infine, un invito alle aziende: quando dichiarate che le donne che lavorano per voi sono la maggior parte (cosa comune nell’agroalimentare e nella gdo) e poi ai vertici al massimo ce n’è una o due fatevi una domanda: come mai?

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