85 proposte di policy per il digitale: il libro bianco del Centro Economia Digitale

Libro Bianco - CED
L'Italia è ancora il fanalino di coda in EU per trasformazione digitale. È possibile, però, invertire la rotta tramite coordinamento e strategia

L’emergenza sanitaria da Covid-19 si è imposta in maniera repentina nella vita degli italiani, con l’esperienza del lockdown che ha mostrato senza filtri un’Italia impreparata digitalmente, che nel day by day ha convissuto con disomogeneità di accesso e qualità dei servizi e, spesso, con impreparazione all’uso con il digitale.

Analizzando cause, conseguenze e possibili evoluzioni di tale situazione, il CED - Centro Economia Digitale ha pubblicato lo scorso 15 luglio 2020 il primo Libro Bianco sull’Economia Digitale, che prende le mosse da tre ambiti, intesi come fattori abilitanti - cittadini, imprese e settore pubblico -, che costruiscono i pilastri attorno a cui si svolgono metodologicamente le 150 pagine del documento.

L’ambizione del testo, che vede coinvolti a vario titolo anche grandi player come Enel, Eni, I Capital, Leonardo, Open Fiber, Rai, Tim, Tinexta, è quella di descrivere la trasformazione digitale in atto e guidare, attraverso 85 proposte di policy, “quella che dovrà passare alla storia come la più grande opportunità colta dall’Italia per rilanciare il Paese”.

Una trasformazione digitale accelerata

© CED - Centro Economia Digitale

Vi è la consapevolezza di ripartire dallo status quo che è il risultato dell’essere stati catapultati senza i giusti mezzi, l’adeguata preparazione e la corretta predisposizione mentale in una serie di attività core traslate in rete, dovendo improvvisare. Ciò si è palesato, con tutte le criticità del caso, nella didattica a distanza, nell’utilizzo di piattaforme di condivisione, nel ricorso costante alle video chiamate, nell’organizzazione dello smart working, nella consultazione dei portali della Pa, e, in generale, nella relazione completamente mediata dai dispositivi trami app e social media di sorta.

Siamo partiti dall’analisi dei cosiddetti fattori abilitanti” – spiega Rosario Cerra, presidente del Ced e fautore del Libro Bianco- “senza i quali non si può parlare di trasformazione digitale. Mi riferisco a concetti e fenomeni sempre più presenti nella nostra società e con cui dobbiamo, tutti, acquisire confidenza perché sono già parte dello sviluppo in atto, sebbene appaiano ancora élitari: le reti 5G, la cybersecurity, l’intelligenza artificiale, la blockchain, l’analisi dei big data, l’Internet of Thing. La grande sfida sarà sostenere l’alfabetizzazione digitale della cittadinanza, sviluppare l’indipendenza tecnologia europea, rivedere l’impianto normativo e regolatorio dell’economia digitale. Emerge con forza il ruolo chiave della Pubblica Amministrazione, il vero potenziale driver della trasformazione se assicura una maggiore corrispondenza tra l’azione italiana sulla digitalizzazione della Pa e le strategie internazionali e rafforza la coerenza e la continuità delle politiche”.

L'ipercompressione italiana nello scenario della iperconnessione globale

La situazione attuale, che per alcuni tratti è affine anche ad altre aree in Europa, mostra però delle peculiarità proprie esclusivamente del contesto italiano, che rispetto ad altri Paesi, vive il tempo dell’ipercompressione: da una parte il passato ha portato al pettine tutti i nodi irrisolti negli ultimi decenni, costringendo ad affrontarli tutti insieme, dall’altra il futuro ha accelerato imponendo, di prendere piena consapevolezza della portata e della velocità della rivoluzione tecnologica, nonché dell’eterogeneità dei suoi effetti su economia, società e istituzioni.

L’iperconnessione italiana si staglia poi in un contesto geopolitico tutt’altro che disteso, con le controversie tra Cina e Usa che non  giovano alle economie globalizzate, iperconnesse tra loro per natura. Il digitale, con le sue potenzialità, potrebbe porsi al vertice della concatenazione di molte soluzioni a problemi, se mediato però da precise e consapevoli scelte politico-economiche. Lo stesso Rosario Cerra parla del rischio di un “terzo populismo” direzionato verso l’innovazione tecnologica, rea di alterare le condizioni di vita dei più, dal lavoro alle relazioni personali. Tali distorsioni devono essere mediate da politica e istituzioni, che devono essere in grado di orientare il cambiamento in atto nella direzione della sostenibilità e dell’inclusività, spiegando e governando le contraddizioni deriva venti dall’uso della tecnologia.

© CED - Centro Economia Digitale

Analisi sempre più precisa di dati aggregati

Il futuro sarà basato sui dati, sulla loro aggregazione e analisi, e sull’uso sempre più estensivo di dispositivi digitali. Il Libro Bianco, nel dettagliare i suoi 85 suggerimenti di policy afferenti a vari ambiti, è corredato da un apparato di dati che descrivono ritardi e opportunità da cogliere: nel 2019 il 33,8% delle famiglie italiane non erano dotate di alcun dispositivo (né PC né tablet); si ricorre ancora poco agli investimenti smart per diminuire gli impatti ambientali; la robotizzazione del settore manifatturiero, sebbene l’Italia sia tra i primi in Europa, ha ulteriori e importanti margini di sviluppo; il ricorso all’analisi dei big data non è ancora ben sfruttata; la cultura manageriale del settore privato deve essere innovata in termini digitali. Vi è, quindi, la necessità di sostenere l’innovazione e la trasformazione digitale nelle imprese con mezzi adeguati, venendo a patti con la continua “datafication” dell’odierna società digitale.

© CED - Centro Economia Digitale

 

Inoltre, un aspetto che potrebbe sembrare contro intuitivo è dato dal fatto che, in realtà, è il settore pubblico quello che mostra le maggiori potenzialità di avanzamento digitale: sanità, istruzione, cultura, giustizia, ecc. L’obiettivo è quello di rendere la PA interoperabile “by default” e abilitare un vero ecosistema di dati e servizi a favore dei cittadini, delle imprese e della ricerca scientifica.

Il ruolo delle risorse europee per colmare il gap

In questa cornice si inserisce l’apporto propositivo del Libro Bianco, per cui “La nostra proposta è questa: il ritardo può essere recuperato se scegliamo di cogliere l’opportunità delle risorse messe in campo dall’Unione Europea– continua Cerra -. “La Commissione Europea ha già indicato i pilastri della crescita nei prossimi anni: lo “Europe Fit for the Digital Age” e il “Green Deal” rappresentano gli strumenti attraverso cui realizzare una trasformazione digitale inclusiva a beneficio di cittadini, imprese e governi e una transizione energetica sostenibile entro il 2050. Si tratta adesso di scegliere di allocare una parte significativa delle risorse previste dal Recovery Fund a favore di investimenti nell’alta tecnologia e in innovazioni digitaliLa nostra proposta è quella di destinare a tale scopo annualmente per il periodo 2021-2024 una quota di tali risorse pari all’1% del PIL (circa 17 miliardi all’anno per un totale di 68 miliardi di euro). Secondo le nostre analisi questo potrebbe generare un effetto moltiplicatore sul PIL pari a 2,4 volte l’investimento effettuato, con un impatto complessivo di oltre 160 miliardi di euro”.

In conclusione, all’indomani di una positiva conclusione del Consiglio Europeo che, all’alba del 21 luglio 2020, dopo quattro giorni di negoziato serrato, ha trovato un accordo di compromesso sull’ammontare complessivo del Recovery Fund (750 miliardi: 390 di contributi a fondo perduto e 360 di prestiti), si presenta come concreta la possibilità di destinare una significativa fetta di investimenti per innescare un processo costruttivo e applicativo di policy nel digitale. Colmare il gap di obsolescenza, arretratezza e analfabetismo digitale, virando verso semplificazione e innovazione, è ora una questione di strategia, coordinamento e volontà politica.

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