A Milano la maggioranza non chiede di essere rifornita di prodotti locali

Consumi green – Indagine preventiva Ipsos sulla potenzialità di accoglienza degli assortimenti a Km zero. (Da MARK UP 196)

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1. Lo studio Ipsos mostra differenze fra medie nazionali e quelle del capoluogo lombardo in tema di prossimità
2. Il ruolo della Gda non è secondario

In attesa che le catene della Gda lo traducano in assortimenti concretamente disponibili e ne misurino le prestazioni in termini di rotazioni, incassi e margini: il Km zero quali caratteristiche può avere agli occhi del consumatore? Come può essere visto o vissuto sul versante della clientela? Un'interessante indagine in tal senso è quella effettuata a ottobre 2010 da Ipsos, prendendo in considerazione una clientela sicuramente peculiare, ma che indubbiamente finirebbe in prima fila in un mercato riposizionato sul modello del rifornimento a corto raggio: Milano e i suoi cittadini. Titolo dello studio è Nutrire Milano, obiettivo dello stesso è capire se, secondo la cittadinanza, sia a portata di mano un modello di acquisto e consumo differente basato sulla vicinanza, capace di basarsi sulle vocazioni agricole locali.
Per certi versi è proprio il vissuto della città nel corso dei decenni ad aver creato una frattura profonda e progressiva fra attività territoriali e cittadini, tanto da imporre psicologicamente una distanza maggiore rispetto a quella reale. L'antropizzazione intensa, innegabile, pare infine chiudere il discorso. Che, forse, l'Expo 2015 ospitata proprio in Lombardia potrebbe però riaprire in modo spettacolare...

La cultura
Sul versante della cultura alimentare tipica, i nativi milanesi paiono meno propensi alla preparazione di ricette tradizionali di quanto non riscontrabile presso i residenti a Milano nati altrove: il divario è di 13 punti. Coloro che hanno radici lombarde e che risultano abitanti del capoluogo sono, poi, ancora più fortemente legati alle preparazioni regionali: 93% di coinvolgimento diretto, con un rapporto fra piatti lombardi e piatti di altre regioni di 2 a 1. Rispetto a questo parametro, l'incidenza della cucina lombarda presso i milanesi doc è alquanto inferiore (15 punti in meno). Nello specifico delle conoscenze personali, risotto e cotoletta risultano essere le alto-gettonate, mentre polenta, ossobuchi e cassoeula sono opzioni parecchio più tiepide. In fondo alla lista, patrimonio di pochi cultori, finiscono minestrone, trippa e polpette. Ma anche il panettone: la cui milanesità, probabilmente, si è annacquata in una genericità nazionale.

Scenario sfavorevole
A Milano i concetti alimenti di prossimità, di presidio, di Km zero non godono di elevata attenzione. Una buona metà degli intervistati dai ricercatori Ipsos dichiara di non averne mai sentito parlare. La conoscenza finisce per essere concentrata in nicchie e legata a dinamiche differenti da quelle del reale (o potenziale) consumo. Per contro, il concetto più noto ed entrato ormai nel gergo comune, è quello biologico.
Come pure quello di transgenico. Il coinvolgimento delle insegne ha sicuramente contribuito a definire nel tempo una maggiore familiarità su tali temi, dimostrando l'importanza dell'impegno da parte dei distributori. Detto questo, resta un aspetto di reale prospettiva: guardando ai dati dei soli “responsabili degli acquisti” si segnala un loro posizionamento nella media per tutte le voci indicate dai ricercatori, fatta eccezione per il livello di conoscenza superiore sul concetto di alimento di prossimità.

Una certa sfiducia
II capoluogo lombardo è centro industriale o, eventualmente, del terziario avanzato. Il suo retroterra agricolo permane confinato in un forte cono d'ombra. Ma non si registra soltanto un problema di limitata conoscenza; emerge uno zoccolo duro di sfiducia verso il sistema stesso. Così, se a fronte della problematica generica sulla preferenza da accordare alle produzioni agricole di vicinato, a livello nazionale si esprime la maggioranza degli intervistati (76%) che coincide con una promozione del modello teorico, il milanese ne prende le distanza e solo una minoranza (44%) lo considera un'ipotesi positiva. La maggioranza è compatta nel ritenere la provenienza altra di migliore qualità: tendenzialmente per il clima, ma pure per il presunto livello d'inquinamento dell'hinterland.

La passione
Il coinvolgimento diretto esiste, per quanto sorprendente. L'8% degli intervistati dedicano tempo alla coltivazione di un orto e il 19% di costoro trovano uno spazio di coltivazione su terrazzi o balconi. Ma non è l'unica forma di impegno personale: il 32% dei nuclei familiari sentiti dai ricercatori ha qualcuno in casa che si dedica a realizzare preparati alimentari: le due voci più gettonate sono gli elaborati di pomodoro (in primis la passata) e marmellate/confetture. Poi un numero consistente di persone realizza altre verdure in vaso (per esempio funghi cercati di persona), come pure sughi e salse (il pesto).
C'è una certa sovrapposizione fra chi lavora l'orto e chi si dedica a processi di conservazione. Va segnalato, comunque, l'assenza all'appello del cluster pensionati, verso i quali maggiori sforzi sono stati effettuati per un coinvolgimento in attività orticole.

Allegati

196-MKUP-Kmzero
di Patrick Fontana / gennaio/febbraio 2011

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