Aires, “Tari sempre più cara: +76% in 8 anni”

Secondo l'associazione italiana rivenditori elettrodomestici ed elettronica di consumo (Aires) l'incremento della Tari negli ultimi 8 anni è pari a un corrispettivo di 4,1 miliardi di euro

"Secondo i dati raccolti dal portale Confcommercio (www.osservatoriotasselocali.it) la tassa sui rifiuti continua a crescere -commenta Andrea Scozzoli, Presidente di Aires, l’associazione che riunisce le principali aziende e gruppi distributivi specializzati di elettrodomestici ed elettronica di consumo-. Si parla di un incremento del +76% in 8 anni, pari a un valore di 4,1 miliardi di euro. L’ammontare complessivo della Tari per il 2018 si attesta su 9,5 miliardi di euro. Il nostro comparto registra, rispetto al 2017, un preoccupante aumento del 5,1%, con un costo al metro quadro di 5,9 euro. La regione nella quale il nostro mercato di riferimento registra una crescita maggiore è l’Umbria, con una tariffa al mq di 9,63 euro".

Aires condivide in pieno le preoccupazioni di Confcommercio. "Questa tassa -prosegue Scozzoli- rischia di frenare pesantemente la crescita delle imprese. Inaccettabile il gap tra i costi del servizio Tari e i fabbisogni standard definiti sul sito OpenCivitas (sito promosso dal Dipartimento delle finanze e dalla Sose per determinare i fabbisogni standard delle amministrazioni locali). Lo scostamento è quantificabile in 438.907.201 euro. Appare evidente e improrogabile la necessità di una profonda revisione dell’intero sistema che rispetti il principio europeo del chi 'inquina paga' e tenga conto delle specificità di determinate attività economiche delle imprese del terziario al fine di prevedere esenzioni o agevolazioni per le aree che di fatto non producono alcun rifiuto e sulle quali invece continua ad essere calcolata integralmente la tassa".

Secondo Aires, dovrebbe, inoltre, essere riconosciuto il ruolo fondamentale dei rivenditori di prodotti elettronici nella raccolta e nel corretto recupero dei Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche).

Scozzoli sottolinea, infine, che "le aziende che operano sul web senza negozi sul territorio, magari con un piccolo magazzino, svolgono la stessa attività dei retailer fisici (e quindi producono le stesse quantità di rifiuti), ma non pagano la Tari. Suggeriamo di prevedere un’imposta perequativa che prescinda dai mq occupati, ma risponda, anche in questo caso, al principio di 'chi inquina paga'".

 

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