Precursore del biologico, Alce Nero ha presentato il suo primo bilancio di sostenibilità riaffermando la centralità di questa tecnica agronomica che è nel suo dna (e vede l’Italia primeggiare in Europa), a tutela non solo dell’ambiente ma anche del benessere delle persone. La presentazione è avvenuta a Bologna, nell’ambito della sesta edizione di Resilienze Festival. Tra i partecipanti Arturo Santini, presidente di Alce Nero, Erika Marrone, direttrice Qualità, ricerca & sviluppo filiere Alce Nero, Massimo Monti, amministratore delegato dell’azienda e Giovanni Dinelli, professore ordinario del Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari all’Università degli Studi di Bologna.
Un posizionamento premium sostenibile
Il titolo dell’evento, Biologico è sostenibile?, è tutt’altro che casuale e risponde a un dibattito acceso dalle recenti dichiarazioni del ceo di Syngenta, Erik Fryrward, scettico sul futuro del bio e favorevole a una terza via, l’agricoltura rigenerativa, in un momento cruciale per il bio italiano, mercato che complessivamente vale 7,5 miliardi di euro nel 2021, con l’export che ha raggiunto i 2,9 milioni. Da una parte, infatti, ci sono le politiche Ue basate sul Green Deal e Farm to Fork che prevedono di triplicare le superfici bio arrivando al 25% entro il 2030; e la legge italiana sul bio, appena approvata, che ha istituito anche il marchio made in Italy bio e il riconoscimento dei distretti biologici.
Dall’altra i timori innescati dal contesto geopolitico, il rialzo dei prezzi e l’alternativa residuo zero che si sta sempre più proponendo anche nel canale retail.
I numeri del report
Il marchio unisce più di 300 agricoltori in Italia e oltre 700 piccole imprese agricole familiari del Centro e Sud America. Il report, che segue le regole riconosciute dello standard Gri, si riferisce ad Alce Nero Spa, 10 Soci agro-industriali, 3 stabilimenti produttivi in Italia, e non comprende le società controllate Alce Nero Fresco e Alce Nero Freddo, che commercializzano rispettivamente prodotti freschi e surgelati. Pioniere del biologico, fondata nel 1978, Alce Nero nel 2021 è stata la prima marca in Italia per notorietà, con oltre 4 milioni di famiglie acquirenti e 71 milioni di fatturato. Ha servito 53 Paesi, con un’offerta di 334 referenze, tutte biologiche, realizzate al 62% con materie prime italiane. Il peso maggiore è costituito dalla pasta (19,9%) e passate e polpe di pomodoro (17,6%). L’87% è inoltre plant-based. Ben 31 i nuovi prodotti e 32 le referenze certificate Fairtrade.
La visione lungimirante sull’etichetta clean è esemplificata dalla decisione di eliminare l’olio di palma da ogni prodotto fin dal 2004 e oggi il brand è completamente palm oil free.
Nel 2021 circa l’11% delle referenze Alce Nero sono state poi coinvolte in progetti di miglioramento degli imballaggi, finalizzati all’introduzione di packaging ecologici innovativi, che possano essere gestiti in un’ottica di economia circolare. Rilevante è anche l’occupazione femminile registrata, con il 56% di collaboratrici. “Abbiamo costruito un modello di business che coniuga un profondo rispetto per le persone e una grande attenzione per l’ambiente -ha spiegato Massimo Monti, amministratore delegato dell’azienda-. Materie prime eccellenti e coltivate senza veleni, nel rispetto dei territori e dei nostri agricoltori. Il nostro posizionamento è premium perché tutto quello che facciamo deve essere rispettoso e sostenibile”.
La visione di sviluppo sostenibile rappresenta la dichiarazione di un impegno che, come il capo indiano da cui l'impresa prende il nome, cavalca da oltre 40 anni. “Il nostro contributo alla necessaria inversione di rotta a salvaguardia delle generazioni future, come impresa, Gruppo di imprese e come persone verso un nuovo modello di buen vivir” ha sottolineato Erika Marrone, direttrice Qualità, filiere e sostenibilità.