Ambasciatore del gusto

Incontro con Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, che dal '58 promuove e tutela i fashion brand made in Italy (da Mark Up n. 255)

La  sede  è  al  numero  31  di  Piazza Duomo a Milano: da qui Carlo Capasa guida da oltre un anno  una  delle  realtà  più  importanti  del  settore,  quella  Camera Nazionale della Moda (CNMI), a cui si deve l’organizzazione di sfilate, mostre ed eventi tanto attesi da buyer,  pubblico,  creativi,  giornalisti e operatori internazionali.  Capasa  -leccese  con studi classici, ex-Ad di Costume  National,  maison  fondata  con  il  fratello  stilista Ennio 30 anni fa e ora di proprietà  del  fondo  giapponese  Sedquedge-  sta  operando per il suo rilancio con l’estro e la praticità che lo distinguono. Quattro i  pilastri  della  sua  strategia: rapporti istituzionali, sostegno a giovani creativi e start up, digitalizzazione e sostenibilità (ambientale e sociale). “In questo primo anno, per avviare le molte iniziative a  cui  ho  dato  impulso,  sono  state  fondamentali alcune figure a cui va il mio ringraziamento:  dai  presidenti  onorari di CNMI, Mario Boselli e Beppe Modenese,  al  Consiglio  direttivo  e  al  Comitato strategico, formato dagli imprenditori  più  illuminati  ed  esperti  di  questo mondo meraviglioso che è la moda”.

C’è chi dice che il sistema moda italiano sia in crisi. Cosa ne pensa?
Che  non  sia  vero.  Per  dimostrarlo  ecco  alcuni  numeri  sostenuti  dai  principali opinion leader e media internazionali (dal NY Times a BOF- The Business of Fashion): dal 2013 al 2016 il settore moda è passato da 74 a 83,6 milioni di euro di fatturato globale. Nell’ultimo  anno  la  crescita  dell’1,4%  è  doppia di quella del Pil nostrano. Se questo non è “nuovo Rinascimento” ...

Come presidente della Camera della Moda quali cambiamenti auspica per rafforzare la presenza delle imprese italiane nel mondo?
Abbiamo già un primato attivo e riconosciuto da lungo tempo, nonostante le crisi globali, l’instabilità economica e le guerre diffuse. Le imprese italiane parte del “sistema integrato della moda italiana” (abbigliamento, occhialeria, gioielleria e cosmesi) continuano a dimostrare  la  loro  creatività  e  forza.  Il  settore,  ricordiamolo,  esporta  oltre  l’80%  della  sua  produzione  e  l’Italia  è  il  primo Paese esportatore mondiale di tessile, abbigliamento e accessori di lusso.

Quali i Paesi su cui puntare e perché?
Quelli in cui negli ultimi anni il made in Italy di qualità si è più affermato, in termini di mercato e di spinta creativa: vuol dire Usa e Francia, in primis, per passare  a  Germania,  Svizzera,  tutto  il  Far  East  (da  Hong  Kong  al  Giappone)  e, infine, Regno Unito e Medioriente.

Quali le politiche di CNMI verso giovani talenti e nuovi brand?
Ritengo  sia  fondamentale  migliorare  sempre più il rapporto tra scuole e imprese e favorire l’inserimento dei nuovi talenti nelle aziende con internship mirati e con iniziative come Milano Moda  Graduate  (lo  scorso  anno  inserita  nel  programma  di  Expo  in  Città)  che  ha messo in luce le creazioni dei giovani allievi delle nostre migliori 14 scuole  di  moda  sul  territorio  nazionale.  La  Camera  della  Moda  è  molto  impegnata su questi fronti. A sostegno dei marchi emergenti, inoltre, abbiamo dato vita  al  Fashion  Hub  Market,  progettato  con Unicredit, che ospita una selezione interessante di giovani brand italiani e stranieri.  Abbiamo  avuto  6mila  visitatori, tra cui molti buyer e giornalisti in ternazionali. Queste nuove piattaforme sono  utili  non  solo  per  dare  visibilità  ai giovani creativi, ma anche per favorire lo scambio di esperienze. Il nuovo programma di accelerazione e supporto continuativo, Fashion Lab 2016, ha inserito 19 marchi emergenti nei calendari delle settimane milanesi della moda ed è sfociato in una mostra di grande successo nell’Annex la Rinascente di Milano Duomo. L’obiettivo; passare dal B2B al B2C, dall’incontro con i compratori al confronto con il punto di vendita. Il prossimo 13 dicembre organizziamo un road-show, dove incontreremo un gruppo d’investitori.

Valorizzare le competenze artigianali: come si declina nel sistema moda italiano?
Suzy Menkes, firma storica di Vogue Italia, sostiene che “L’Italia è l’unico Paese al mondo ad aver conservato sia la produzione artigianale sia il design. In altri termini, è ancora capace di produrre  idee  e  realizzare  capi”.  La  Camera  della  Moda,  con  il  supporto  del  Ministero  dello  sviluppo  economico  e  di  ICE, ha organizzato al Mudec di Milano una bellissima mostra che visualizza questi valori: Crafting the future, a cura di Franca Sozzani. Un’esposizione dove artigianalità, heritage, innovazione e sostenibilità si declinano nelle sfaccettature più contemporanee, per far capire l’evoluzione del sistema moda. La narrazione è uno strumento cruciale per capire i fenomeni economici e industriali.

Alta moda e online: quale rapporto?
È senza dubbio il futuro. Serve, però, uno sviluppo organico tra il negozio fisico e quello digitale, mettendo prima di tutto in rete i vari soggetti dei distretti produttivi, cioè tutti gli attori della filiera, per diffondere capillarmente la cultura  della  comunicazione  digitale,  nel  nostro  Paese  ancora  arretrata.  Nel  settore moda in Italia siamo ancora al 5% di uso dell’eCommerce: in Germania il 25% delle imprese lo applica già in modo operativo. Ho molta fiducia nell’azione 4.0 auspicata dal viceministro Carlo Calenda per potenziare la moda italiana.

Sembra che l’alta moda stia influenzando  il  mass  market:  quali  le  conseguenze di questa contaminazione?
Il tratto distintivo del pronto-moda dei tardi anni ’60 è stata proprio la capacità di realizzare per il mercato lo stile più vasto creato dalle griffe dell’alta moda. Oggi ci sono catene straniere low-cost che applicano questo approccio in tempi ridottissimi e senza abbinare all’estetica la giusta componente etica. Manca la gestione di sistemi di controllo efficaci e dinamici sulla filiera produttiva.

Con  suo  fratello  Ennio  ha  creato  30  anni  fa  Costume  National,  marchio  basato sul concetto di “street couture”, eleganza da indossare tutti i giorni. Oggi, cosa farebbe d’innovativo?
La stessa cosa, aggiungendo al cocktail l’ingrediente dei social media. Innovazione e ricerca significano essere là dove sta il pubblico. Ma occorrono anche i servizi e gli strumenti più adatti, e questa è l’epoca del web.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome