Andiamo al di là dei falsi miti: l’impresa resta troppo piccola

Esperti – Una frazione rilevante del potenziale di crescita inespresso della nostra economia ha a che fare con la questione della dimensione delle imprese: in Italia il 95% ha meno di 10 addetti. (Da MARK UP 194)

Registrati gratuitamente per scaricare la versione Pdf dell'articolo >

1.
Questo è un nodo di primaria importanza
2. È dalla struttura produttiva che si deduce il potenziale produttivo odierno
3. Nei numeri una molteplicità d'interpretazioni

Una delle debolezze strutturali del nostro sistema economico risiede nell'esiguità della taglia media. Sul tema c'è molta confusione: falsi miti, calcoli scadenti e un po' di diffusa ignoranza oscurano i termini del problema. Senza entrare nei dettagli tecnico-amministrativi che definiscono quando un'impresa è piccola, media o grande, è opportuno rilevare che l'adagio mediaticamente prevalente che definisce l'Italia il paese delle Pmi, cela il fatto che all'interno delle imprese piccole e medie (fino a 249 addetti) la quasi totalità ha meno di 10 addetti. L'aggregato, cioè, è costituito da micro imprese. Esse, di solito, non vengono enucleate rispetto alle altre per una pigrizia mentale che rende faticoso smontare la consuetudine di associare le micro imprese alle piccole imprese, queste ultime più correttamente identificabili come imprese con un numero di addetti compreso tra 10 e 49.

Il nanismo
La questione è di capitale importanza. In Italia il 95% delle imprese ha meno di 10 addetti. In Germania tale quota non arriva all'83%. In questa differenza di struttura produttiva si annida una buona parte dei differenziali di produttività tra i due paesi, erroneamente spesso indicati come simili. Per dimensionare la questione del nanismo delle nostre imprese, e cioè per dare una valutazione quantitativa del guadagno di prodotto lordo che a parità di altre condizioni si avrebbe se la nostra struttura fosse un po' più simile a quella tedesca, propongo un semplice esercizio contabile basato sull'ipotesi di spostamento e accorpamento di una frazione pari al 5% delle imprese totali, dal segmento delle micro imprese a quello delle piccole. L'esercizio non ha altre pretese.

I conteggi sono riportati nella tabella. Nella parte (a) è indicata la situazione attuale (più precisamente, il 2007, ultimo dato disponibile completo). Nella parte (b) è indicata la situazione dopo il “mutamento” di dimensione media, a parità di fatturato per addetto per classe dimensionale delle imprese, a parità di addetti totali e ipotizzando che il numero medio di addetti per la prima e l'ultima classe di imprese non cambi (resta pari a 1,93 per la classe 1-9 e a 207,21 per la classe oltre 49 addetti). Scompaiono circa 580.000 micro aziende, che mediante accorpamenti generano 180.000 piccole imprese aggiuntive. In totale l'economia disporrà di 400.000 aziende in meno ma con un numero medio di addetti superiore di circa il 10% (da 3,87 a 4,26 addetti in media per unità produttiva). L'effetto combinato di queste variazioni porta a un incremento di valore aggiunto aggregato (e per addetto, a occupazione costante) pari al 2,6% (in termini reali, perché nell'esercizio non è considerato alcun fenomeno monetario). Qualcosa, insomma, pari a un anno netto di Pil in più (perché il valore aggiunto considerato è circa il 60% di quello totale dell'economia italiana).

Potenziali inespressi
Spero di avere suscitato qualche curiosità. Pochi semplici numeri si prestano a una molteplicità di interpretazioni. Lo stesso esercizio può assumere configurazioni differenti mutando le ipotesi (per esempio sui tassi di produttività dei lavoratori che passano da una classe a un'altra). Inoltre, le questioni dinamiche - come cresce la produttività per addetto nelle diverse classi dimensionali - e la stima dei tempi occorrenti per effettuare un aggiustamento come quello indicato, possono condurre a utili riflessioni sulle traiettorie che l'economia potrebbe seguire in risposta a politiche di incentivazione delle aggregazioni tra imprese. Infine, l'esercizio potrebbe essere condotto disaggregando i settori produttivi. In alcuni casi, infatti, l'aggregazione è più agevole mentre in altri è difficile e neppure auspicabile oltre una certa soglia, a pena la riduzione dei livelli di servizio per i cittadini. Resta il fatto che una frazione rilevante del potenziale di crescita inespresso della nostra economia ha davvero a che fare con la questione della dimensione delle imprese. Ne riparleremo.

Allegati

194-MKUP-Bella
di Mariano Bella / novembre 2010

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome