Apple Pay tra poco in Italia. Cosa cambia?

A due anni dal lancio negli Usa, il sistema di pagamento di Cupertino arriva in Italia. Scarsa ancora la diffusione nel mondo ma enormi le potenzialità

Alla pagina http://www.apple.com/it/apple-pay/ si può leggere l’annuncio dell'imminente arrivo di Apple Pay in Italia. Il sistema di pagamento della Mela è perfettamente integrato negli iPhone e può essere utilizzato anche con gli Apple Watch. Lanciato nel 2014 negli Usa, oggi è attivo in Australia, Canada, Cina, Francia, Giappone, Hong Kong, Nuova Zelanda, Regno Unito, Russia, Singapore, Spagna, Svizzera. Mancava in Germania e in Italia ma nel nostro paese sarà attivo durante l’anno.
Il sistema Apple Pay funziona con un wallet elettronico in cui è possibile inserire le proprie carte di credito virtualizzate. Allo stato attuale sono in essere accordi con UniCredit, Carrefour Banca e Boon ed è possibile l’utilizzo di carte di credito Visa e Mastercard. In particolare Boon è un nuovo prodotto bancario, un conto prepagato dematerializzato che consente di diventare titolare di una carta Mastercard senza richiedere la titolarità di conto bancario.
Ma quale significato ha l’ingresso di Apple in un settore, quello dei pagamenti, già affollato e destinato ad ampliarsi sempre più?
Oggi l’attenzione è fissata sulle banche le quali sembrano doversi difendere da questa ondata tecnologica secondo la quale, i big player digitali diverranno ben preso un terribile concorrente del settore bancario italiano. Qui però occorre mettere le cose in chiaro. Gli istituti di pagamento digitali attuali e futuri (Apple, Google, Facebook a seguire Samsung e i cinesi) non hanno la licenza di gestione del pubblico risparmio. Possono diventare istituti di pagamento ma non banche. Possono muovere il denaro ma non conservarlo e investirlo. Questo significa che un big player digitale, se non diventa banca, non può sostituire una banca. Ciò che cambia, rispetto allo stato attuale, è che si forma uno strato aggiuntivo tra il cliente finale e la banca. In sostanza il wallet su smartphone diventa un crocevia verso i prodotti finanziari dei servizi disponibili. La buona notizia per le banche è che questo aumenterà il parco di potenziali clienti anche di prodotti “leggeri” oggi non disponibili e poco sfruttati. La brutta notizia è che il rapporto banca-cliente verrà diluito, intermediato da un big player digitale. Uno scenario plausibile è che i big player digitali diverranno la porta di accesso ai prodotti finanziari con un ruolo di brokeraggio che però non mette in pratica gli attuali modelli di business (i ricavi non saranno su quanto acquistato dall'utente ma su altro). In questo scenario, le banche più dinamiche potrebbero addirittura incrementare gli utili. Altre uscire dal mercato retail.
Venendo ad Apple Pay, gli elementi di riflessione sono diversi. Innanzitutto il sistema di pagamento di Apple è riservato ai soli clienti della Mela. E questo fa la differenza. In primis perché gli iPhone e iWatch sono oggetti premium, poi perché danno garanzie uniche di sicurezza (reali o percepite poco importa) nel mercato attuale. In Apple, la riservatezza del dati personali è un plus difficilmente attaccabile (si ricordino i casi in cui Apple rifiutò di concedere l’ingresso ai dati di un iPhone da parte delle autorità giudiziarie statunitensi); il business di Apple è la vendita di dispositivi (per ora) non l’acquisizione e uso dei dati personali e di attività di miliardi di persone come fanno Gogole e Facebook. Poi vi è la compliance prossima ventura. Strong authentication e altri provvedimenti possono sparigliare le carte rispetto alla validità di una soluzione rispetto a un altra. E in questo campo iOS con l’ecosistema di Apple possono assumere un ruolo di riferimento soprattutto per utenti alto-spendenti che vogliono assoluta sicurezza e riservatezza rispetto le loro movimentazioni. Ecco perché il terreno dei pagamenti digitali è da tenere sotto osservazione: un ambito che può rafforzare o indebolire anche direttamente i protagonisti digitali attuali.

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