Auchan, contro la crisi servono regole certe e formati innovativi

Esperti – L'intervista di copertina


L'
ipermercato non è in crisi, anzi. Auchan conferma la tenuta e lo sviluppo di questa tipologia di vendita e rilancia con nuovi formati innovativi. La crisi stringe d'assedio le grandi superfici a piastra alimentare ma per rispondere alle trasformazioni sociali e alle attese dei consumatori è necessario, dice il presidente Philippe Le Grignou, che il legislatore capisca le necessità delle imprese commerciali che sono un moltiplicatore di sviluppo e di occupazione.

Qual è la sua opinione sulla situazione economica e dei mercati in Italia?

Nel nostro comparto le difficoltà sono iniziate quattro, cinque anni fa. Se non si prendono velocemente alcune decisioni le difficoltà rimarranno intatte.

Cosa vuol dire esattamente modernità?

Nel nostro mestiere siamo attori che possono e devono partecipare alla modernizzazione del commercio, all'urbanizzazione delle città e delle regioni. Dobbiamo continuamente formare i giovani, facendo migliorare i loro livelli professionali, aumentando il valore e la redditività delle imprese. Penso che su questi temi ci sia veramente da fare oggi. Negli ultimi cinque anni, un periodo contrassegnato da difficoltà nella crescita del Pil, sono stati aperti una cinquantina di centri commerciali, per la metà nelle regioni del nord. Tutti vogliono aprire al nord. È arrivato il momento per una regolamentazione che permetta agli investimenti di creare valore non solo per le aziende, ma anche per le città, per la società nel suo insieme. Non lavoriamo soltanto per noi stessi: vogliamo partecipare alla crescita dell'economia e della società italiana in modo armonico e incisivo.

Come potete sviluppare allora le vostre attività nelle zone che ne hanno bisogno?

È necessario aiutare gli attori del commercio a un'urbanizzazione intelligente. Tutti vogliono investire nelle stesse zone di crescita del passato, ma così facendo i prezzi dei terreni e degli immobili aumentano mentre si abbassa la redditività. Alla fine si produce un circolo vizioso nel quale tutte le imprese sono in difficoltà. C'è poi un altro elemento tipico dell'Italia.

Quale?

Il costo del lavoro. Nel nostro mestiere rappresenta il 70% dei costi.

Provi a tradurlo.

Siamo un'industria di manodopera. O meglio: siamo un'impresa di ipermercati e centri commerciali che producono lavoro per molti giovani e non solo. Salvo che…

Salvo che…

Se il costo del lavoro continua ad aumentare ma la redditività non cresce o, peggio, diminuisce, si crea un problema. Soprattutto se una voce di costo così fondamentale non è supportata da una legislazione che vada in direzione di una reale flessibilità. La rigidità della contrattualistica è una costrizione che non fa bene né a noi né al lavoratore. Operiamo in un sistema che ci obbliga ad aumentare i salari del 3,5% all'anno. Il giro d'affari a parità di rete aumenta solo del 2%. Se aggiungiamo l'inflazione lei capisce che i conti non tornano.

Quando parla di difficoltà pensa all'Ebitda o al risultato netto finale?

Al risultato netto finale.

Mi deve scusare se sposto l'asse della domanda dall'azienda al vostro core business. C'è un problema nel format dell'ipermercato?

Sì. Il nostro mestiere si caratterizza per un investimento iniziale elevato. Differentemente dai discount ma anche dai supermercati, l'ipermercato è una tipologia d'investimento che consuma una somma elevata di capitali.

Un esempio?

In generale, la decisione di costruire un centro commerciale implica per noi un investimento importante. Lei sa che nel nostro mestiere è impossibile prevedere il futuro. Le aggiungo, allora, che se nello stesso comune apriranno a distanza di due-tre anni altri due-tre centri commerciali sorge un problema. Per noi e per loro.

Dottor Le Grignou, come si esce da questo circolo vizioso?

Bisogna che l'Italia affronti il coordinamento delle 21 diverse regolamentazioni regionali. Un attore globale non può lavorare con il punto vendita di Napoli aperto tutte le domeniche e quello di Milano che funziona una sola domenica al mese. L'Italia deve essere un paese, non una sommatoria di regioni una diversa dall'altra. Solo allora la decisione d'investimento presa sarà ragionata e libera davvero.

Mi permetta di ritornare ai ragionamenti sul vostro core business, all'ipermercato. Il format, l'offerta dell'ipermercato, è adeguato alle esigenze del consumatore moderno per di più in presenza di una crisi economica e sociale senza pari nella storia dell'Italia e dell'Europa? È una formula valida anche per il nostro futuro commerciale e sociale?

La formula dell'ipermercato ha ancora in molti casi e in molti spazi di consumo un avvenire nella misura in cui riesce a esprimere appieno la sua convenienza. Oggi con le problematiche ecologiche e sostenibili nella dimensione interurbana l'ipermercato ha una grande efficacia. Per esempio permette alla logistica di ottimizzare i processi, diversamente da quanto accade nei negozi di centro città. Il centro commerciale può soddisfare l'80% dei bisogni della clientela nei tempi - settimanalmente o ogni quindici giorni - e nei modi - con un'offerta e una logica di convenienza - ormai collaudati. In questo scenario anche l'ipermercato deve cambiare con formati più moderni e in linea con le attese del consumo e dell'ambiente. Penso per esempio a dei sistemi come DriveAuchan (vedere MARK UP di febbraio 2008, a pag. 44) a Torino.

Funziona questo format?

Funziona in rapporto alla situazione competitiva e all'innovazione che sa esprimere. Siamo molto fiduciosi per il futuro, soprattutto guardando ai risultati ottenuti a Torino e in Francia.

Perché questo ottimismo?

Per la risposta dei consumatori. Certo per sviluppare questi nuovi formati è necessario un flusso finanziario che non può che arrivare dalla nostra attuale rete di vendita, cioè dagli ipermercati storici. In questo modo il circolo si chiude ed è per questo che chiediamo con forza stabilità e certezza agli investimenti che stiamo facendo. Infatti confermiamo gli investimenti previsti nei centri commerciali tradizionali.

Che consistono in?

Quest'anno apriremo un centro commerciale e altri due verranno inaugurati nel 2010.

Per commercio moderno intende anche il web?

Anche.

Un esempio?

Si può fare un ordine via web e venire nel punto di vendita o nel pick up a ritirare la merce. Oppure fare un ordine via web e farsi recapitare la spesa a casa. Quest'ultimo subentrerà alla vendita per corrispondenza, un sistema già attivo da anni che si sta sviluppando in Italia in ritardo rispetto ad altri paesi. Penso agli Stati Uniti ma anche alla Gran Bretagna dove raggiunge quote di mercato importanti. In Italia d'altra parte l'utilizzo delle carte di pagamento (credito e debito), presupposto imprescindibile per lo sviluppo dell'e-commerce, è ancora molto limitato.

Dottor Le Grignou, secondo lei quanto durerà la crisi nel largo consumo? Un anno, più anni?

Come dicevo, arriviamo da cinque anni di risultati difficili con consumi stabili o in diminuzione a parità di volumi. Mi piacerebbe che la crisi fosse breve ma non credo lo sarà. Personalmente sono pessimista.

Perché?

Perché bisogna cambiare prima di tutto le regole del gioco del mondo finanziario e vedere poi l'impatto sui diversi mestieri commerciali e sui comportamenti di consumo. Abbiamo una certezza: che la crisi costringerà ognuno di noi a cambiare in profondità. Aspettiamo.

La crisi cambierà anche le persone e le aziende?

Sì. Da anni al nostro interno organizziamo corsi di formazione per le squadre per affrontare il cambiamento. E questo non è un problema delle sole aziende italiane: riguarda tutte le nazioni e tutte le società. Se non ci mettiamo in testa che dobbiamo cambiare…

Cosa vuol dire cambiare?

Rinunciare alle certezze del passato. Se non capiamo questo la crisi rischia di essere duratura. È tempo, lo ripeto, che l'intera società cerchi nuovi equilibri. Faccio un esempio per Auchan: se i consumatori ci chiederanno di fare la spesa via web noi siamo pronti a farlo abbandonando le aperture di punti di vendita fisici. È più facile essere d'accordo con il cambiamento e adattarsi che opporre resistenza. Andare contro corrente, lo sappiamo, è molto faticoso. Sarà il consumatore a indicarci la strada.

Molti Stati proclamano la libertà di circolazione dei capitali, delle merci e delle persone ma poi praticano il protezionismo. Lei teme il protezionismo?

Il protezionismo è la risposta alla paura. Personalmente credo che bisogna sostenere le produzioni locali. Ma è necessario anche esportare per riequilibrare la bilancia dei pagamenti. E quindi bisogna importare. Il protezionismo non serve, soprattutto oggi. Alimenta la paura, non di certo lo sviluppo. Il sistema distributivo Auchan, viceversa, aiuta le merci italiane a cercare nuovi sbocchi nei suoi ipermercati all'estero.

Negli ultimi anni è aumentato il peso dei primi prezzi anche nelle private label. Succede in Auchan e in qualsiasi insegna. Lei pensa che questo favorisca la sofisticazione dei prodotti?

Il prezzo di vendita di un prodotto è deciso dalla qualità che un'impresa vuole raggiungere. È necessario interrogarsi a fondo fino a quanto si può spingere il primo prezzo perché vendiamo prodotti alimentari e su questo costruiamo fiducia verso le nostre insegne. In Auchan, comunque, i primi prezzi sono venduti con la nostra marca che, per il consumatore, è riconoscibile, a garanzia della qualità descritta nelle etichette, come i prodotti a marchio d'insegna o quelli venduti sfusi.

Che quota hanno raggiunto i primi prezzi in valore?

Il 7% del food.

E quelli sciolti in valore?

Il 2,4%.

Cresceranno in futuro?

Lo scorso anno sono cresciuti del 30%.

Ultima domanda. Qual è la vostra posizione riguardo alla sostenibilità dell'impresa e dei punti di vendita?

La sostenibilità è un movimento di fondo inarrestabile. Risparmiare energia e non inquinare è possibile. Auchan spa si sta organizzando affinché ogni singolo collaboratore partecipi ai nostri programmi di sostenibilità che sono al top delle nostre priorità. I nostri ipermercati stanno cambiando velocemente. Ma ci stiamo attrezzando anche perché i nostri consumatori cambino gradualmente i loro atteggiamenti e le pratiche nei confronti dell'ambiente. Investire oggi nell'ecologia significa pensare al nostro futuro. Di Auchan e della società. Le nazioni che per prime affronteranno questi problemi saranno le prime a uscire dalla crisi.

Auchan in Italia

In Italia il Gruppo Auchan è presente dal 1989, anno in cui ha aperto il primo ipermercato a Torino. Oggi la sua presenza sul territorio nazionale si articola in:

  • 49 ipermercati, di cui 46 a gestione diretta e 3 in franchising;
  • presenza in 11 regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Abruzzo, Lazio, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna);
  • 15.000 dipendenti;
  • 74% dei dipendenti sono azionisti;
  • fatturato Italia 2008: 3,40 miliardi di euro

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