Barilla accordo grano e dubbi sull’etichettatura d’origine

Con il nuovo accordo i volumi di ‘grano duro sostenibile’ che Barilla impiegherà per produrre spaghetti e penne rigate aumenteranno del 40%, passando dalle 197mila tonnellate del 2016 alle 280mila del 2019

Tenendo fede allo slogan “Buono per le persone e per il pianeta” Barilla ha stipulato un accordo triennale con gli agricoltori italiani produttori di grano duro che prevede l’acquisto da parte della multinazionale emiliana di 900mila tonnellate di cereali nazionali, circa il 40% del totale del grano italiano utilizzato dall’azienda di Parma per produrre le proprie paste. È la prima volta che un contratto di coltivazione ha una durata così lunga, di solito si ragiona di anno in anno.

“Attraverso questi contratti di coltivazione riusciremo finalmente ad aumentare la produzione di grano duro italiano di qualità”

“Questo accordo dimostra che c'è un modo virtuoso di sostenere l'agricoltura nazionale della filiera grano-pasta -afferma il responsabile relazioni esterne del Gruppo Barilla Luca Virginio- attraverso questi contratti di coltivazione riusciremo finalmente ad aumentare la produzione di grano duro italiano di qualità e a remunerare adeguatamente gli agricoltori che potranno anche programmare al meglio lo sviluppo di mezzi e di risorse. Allo stesso tempo avremo una riduzione dell’impatto ambientale grazie alla crescita del progetto grano duro sostenibile”.

Luca Virginio, responsabile relazioni esterne del Gruppo Barilla
Luca Virginio, responsabile relazioni esterne del Gruppo Barilla

Più grano di qualità
Difatti, con il nuovo accordo i volumi di ‘grano duro sostenibile’ che Barilla impiegherà per produrre spaghetti e penne rigate aumenteranno del 40%, passando dalle 197mila tonnellate del 2016 alle 280mila del 2019.
I nuovi contratti di coltivazione - che rappresentano il 40% del grano duro acquistato in Italia dalla Barilla - prevedono un investimento totale da parte di Barilla di 240 milioni (80 milioni l’anno). Riguarderanno oltre 5.000 aziende agricole per una superficie destinata alla coltivazione del grano duro di alta qualità di 65.000 ettari, il 6% di quella nazionale. Le regioni coinvolte nell’accordo sono: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Toscana, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania e Puglia. Mentre le varietà top quality seminate sono l’Aureo, lo Svevo e il Pigreco. Circa un terzo delle 900mila tonnellate di grano duro previste dal piano triennale saranno prodotte in Emilia-Romagna.

Questo contratto pluriennale garantirà alle imprese agricole di accedere ai finanziamenti del Mipaaf per 10 milioni di euro e di avere una migliore redditività

Più reddito per gli agricoltori
Questo contratto pluriennale garantirà alle imprese agricole di accedere ai finanziamenti del Mipaaf per 10 milioni di euro e di avere una migliore redditività: in media del 25% superiore ai contratti standard, grazie anche a incentivi legati a una produzione di qualità maggiore (pari al 10-15% del prezzo medio del grano).
I risultati della ricerca sul grano duro hanno anche mostrato concreti benefici economici per gli agricoltori che hanno ottenuto una maggiore resa di produzione (fino al 20%) e minori costi di produzione (fino al 30%). Con conseguenze positive sul guadagno netto per ettaro che negli ultimi tre anni è stato mediamente più alto di circa il 20% rispetto a un sistema di tipo tradizionale. Fino a oggi di questa opportunità hanno beneficiato ben 2.400 aziende agricole di quattro macro-aree del Paese: la pianura lombardo-veneta, l’Emilia-Romagna, l’Italia centrale (Toscana, Marche, Abruzzo) e meridionale (Puglia, Basilicata, Campania).

Barilla, grazie all’applicazione di rigorosi disciplinari di coltivazione, avrà la certezza di ricevere un grano duro di eccellente qualità - per realizzare la miscela di alta qualità di cui ha bisogno per produrre una pasta buona e al “dente” - e ancora più sostenibile.

Più rispetto per l’ambiente
Nel 2009, dopo aver scoperto che oltre la metà dell’impatto ambientale per la produzione di un chilo di pasta deriva dalla coltivazione del grano duro, Barilla e Horta hanno dato vita al progetto ‘Grano Duro Sostenibile’ per ottimizzare le tecniche colturali. Questo ha portato a una riduzione delle emissioni di CO2 di circa il 35% negli ultimi tre anni.
Gli agricoltori che hanno stipulato il contratto saranno tenuti a rispettare il decalogo Barilla: un insieme di pratiche agronomiche che servono per migliorare la qualità del grano duro. Si va dalla successione di diverse colture, con rotazioni che alternano i cereali con le leguminose, le proteoleaginose o le colture ortofrutticole, alla lavorazione del suolo tenendo conto del contesto territoriale, del clima e del tipo di terreno. L’utilizzo della migliore varietà in relazione all’areale con l’impiego di sola semente certificata di qualità. E poi seminare al momento opportuno, usando la giusta quantità di semi; contenere le piante infestanti in modo tempestivo e dosare i fertilizzanti in base alle reali necessità della pianta. Proteggere la pianta dalle malattie e, non ultimo, agire secondo la logica di estendere la sostenibilità all’intera azienda agricola e non solo alla singola coltura.

Decreto sull’etichettatura
Barilla nutre anche “forti dubbi e perplessità in merito al prossimo Decreto sull’etichettatura dell’origine del grano duro”. L'impresa esprime la sua critica al decreto per l’origine del grano sull’etichetta della pasta, sottolineando che alla mancanza di valore aggiunto per il consumatore e il pericolo di compromettere anziché rafforzare la competitività dell’intera filiera.
“Gli accordi di filiera creano valore per tutti: agricoltori, pastai e consumatore”, sostiene Luca Virginio. “Per questo Barilla nutre forti dubbi e perplessità sul decreto per l'origine delle materie prima in etichetta della pasta, che, nella sua versione attuale, confonderebbe i consumatori e indebolirebbe la competitività della filiera della pasta. L'origine da sola non è infatti sinonimo di qualità. Inoltre, non incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano con gli standard richiesti dai pastai. A tutto svantaggio del consumatore, che potrebbe addirittura arrivare a pagare di più una pasta  meno buona. E dell'industria della pasta, che con un prodotto meno buono, perderebbe quote di mercato, soprattutto all'estero”.

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