Behavioral loyalty: la fiducia dell’utente come nuova energia della data economy

Coinvolgere tutta la customer base e la filiera commerciale grazie a un’analisi real time del comportamento degli utenti, permette un vantaggio competitivo e un accrescimento del valore della relazione

Coltivare fiducia e lealtà nei confronti dei propri clienti è oggi più che mai essenziale, specialmente oggi nel tempo della trasformazione digitale, dove scandali e incidenti legati a privacy, dati personali rubati e scam online sono all’ordine del giorno. C’è da dire che, come contromisura, i diversi player operanti online si stanno sempre più attrezzando per creare un ecosistema orientato alla privacy, anche per l’effetto vincolante di leggi come il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) europeo. In questo contesto, ad esempio, gli Zero Party Data, ovvero i dati che l’utente sceglie intenzionalmente e proattivamente di condividere con il brand in cambio di attività o servizi di suo gradimento, che, se da un lato, sono funzionali a risolvere il paradosso della “personalizzazione vs. privacy”, dall’altro aprono una profonda riflessione su come instaurare un rapporto che sia di valore con i propri clienti (tutti, ma in particolare chi sceglie volontariamente al centro di una determinata  attività strategica,  concedendo ad un’azienda il proprio consenso in fase di profilazione).

Chiarendo i termini della questione, la posta in gioco in questa fase è quella del doppio filo tra fiducia e lealtà. Pur essendo “Trust” e “ loyalty”, infatti,  due facce di una stessa medaglia, risulta assai, difficile – per un approccio data driven – saper misurare la customer loyalty, che viene spesso confusa con la customer satisfaction. Come scrive Brian Pearson nel suo libro “The loyalty leap” (2012), la customer satisfaction può essere vista come un “cavallo di Troia”: se la soddisfazione del cliente fosse accettata ed equiparata a “sentita loyalty”, la stessa azienda potrebbe confondere un cliente “soddisfatto”, con uno che sta “tollerando” lo status quo dell’azienda, in attesa che si apra una qualsiasi finestra di miglioramento in termini di prezzo, servizio, location dai competitor. Questo ragionamento porta a distinguere, allora, tra due tipi di fedeltà: comportamentale (Behavioral loyalty) ed emotiva (Emotional loyalty). È possibile, inoltre, etichettare un terzo sottoinsieme di clienti che acquistano un prodotto/servizio unicamente guidati dalla forza dell’abitudine, senza una vera valutazione razionale alla base. McKinsey & Company ha definito questo scarso livello di engagement come Intertial loyalty.

Tralasciando in questa sede il caso dell’inerzia e delle emozioni (che comunque costituiscono delle leve tutt’altro che trascurabili), e ponendo il focus sulla behavioral loyalty, ci si rende conto come la customer centricity non possa più rimanere qualcosa solo di teorico sulla carta.  Rientrando nel macro ambito del behavioural marketing, la  behavioral loyalty fa parte di un approccio multicanale che integra soluzioni digitali e tecnologie di business intelligence e machine learning che permettono di conoscere il singolo cliente, di comprenderne gusti, preferenze e propensioni, favorendo la costruzione di percorsi di relazione personalizzata che variano nel tempo. Di fatti, riflette perciò l’interesse costante di un’azienda nei confronti dell’utente, ma consente anche di accrescere la qualità del ‘patto digitale’ tra i due, riconoscendogli valori e vantaggi  in linea con le reali esigenze di trasparenza richieste dal  consumatore. Il tutto, però, non sarebbe possibile senza un approccio data-driven e senza tecnologie a supporto che permettano di analizzare i comportamenti dei clienti per proporgli comunicazioni rilevanti e in linea con i loro interessi. In questo senso, seppur con un’espressione alquanto abusata, è possibile usare la metafora del petrolio relativamente al binomio fiducia-dati. Investire nel cosiddetto “Data Loyalty Management”, è fondamentale per concretizzare un certo tipo di approccio con il cliente. L’utente è disposto a cedere alcune informazioni personali se in cambio potrà ottenere dei benefici, dei vantaggi, delle attenzioni personalizzate in un dato momento, grazie un sapiente utilizzo della tecnologia (magari anche nelle forme più fresche della gamification).

In definitiva, il behavioural marketing mira a stimolare nel tessuto aziendale – lato offerta - un  focus sulle persone a prescindere dagli atti di acquisto, passando da un approccio product-centrico a uno user-centrico, che permetta di comunicare con il consumatore in base a quello che è e non solo in base a ciò che ha o che compra.

Concludendo questo breve excursus tematico, è interessante menzionare i tre pilastri su cui si basa Advice Group, azienda italiana  (martech company) fondata nel 2006 da Fulvio Furbatto, operante nel campo, che riassume al meglio le istanze da interiorizzare:

1) People: La persona diventa il centro di ogni attività digitale.

2) Value: Il valore inespresso è l’obiettivo da individuare e stimolare.

3) Recognition: Riconoscere il potenziale restituendo all’utente un’opportunità in tempo reale.

Puntare sulla bidirezionalità propria di queste interazioni, sarà anche il detonatore di un rinnovato umanesimo digitale, che cerca un equilibrio tra dinamiche del business e tutele per tutti gli individui.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome