Bernasconi: Gd e Gss hanno bisogno di una lobby che tuteli molti interessi

Retail – L'amministratore delegato di Media Market a tutto campo, dal ruolo dei comuni ai...

Questa non è un’intervista. È un incontro a due, all’ora di pranzo, con un Pierluigi Bernasconi, prima vice presidente di Aires e poi amministratore delegato di Media Market, nonché membro junior di Confcommercio International e, per dirla tutta, neo cavaliere del lavoro, che, a cuor leggero, un po’ stimolato e un po’ no, dice la sua, cambiando continuamente cappello, su quasi tutto. Accetta qualche domanda, sbotta come quasi sempre, ed è molto sincero. Leggere per credere.

Pierluigi, cominciamo dall’Antitrust e dalla sua inchiesta sui prezzi e il servizio post vendita. Sei sorpreso?
Gli interventi attuali dell’Antitrust sono in linea con quelli che ci sono già stati in passato. È una forma di informazione del tutto legittima che porterà a una chiarificazione e, forse, a una regolamentazione di una pratica che fino a oggi è andata avanti per routine. Dietro le nostre aziende non c’è una volontà, come rilevato dall’Antitrust, di produrre dichiarazioni mistificatorie al consumatore. La situazione, infatti, è molto più complessa.

Complessa in che senso?
In Italia, da sempre, le aziende produttrici hanno sviluppato una rete propria di centri di assistenza, a volte centralizzati a volte dispersi sul territorio. Questo ha fatto sì che la logistica di prodotti in garanzia o la documentazione necessaria, come l’onere della prova, siano tutti elementi di giusta preoccupazione che fino a oggi i retailer hanno proposto al pubblico in un certo modo, perché la consuetudine è sempre stata quella. Credo però sia mancata da parte delle autorità legislative la volontà di informarsi su quanto stava avvenendo guardando il tutto attraverso le lenti della filiera per arrivare a un sistema di assistenza più uniforme. L’Antitrust ha deciso di vederci chiaro ma in modo mono direzionale.

In che modo?
Tra il codice di consumo e la sua applicazione e le disposizioni del codice civile ci sono forti discrasie perché la garanzia legale, dice il codice civile, dà la responsabilità a chi vende verso chi compra. Questo principio è riconosciuto da tutti. Ma la garanzia per il codice civile è di 12 mesi, mentre per il codice di consumo è di 24 mesi. Il codice civile, come si capisce, non si è adeguato alle norme europee. In mezzo c’è il diritto di rivalsa da parte dell’intermediario di rivalersi a monte. È davvero difficile districarsi: o si fa una legge simmetrica oppure senza certezza di diritto bisogna intavolare discussioni di filiera e trovare la buona volontà da parte di tutti. Che è più facile a dirsi che a ottenersi. Dire che l’ultimo anello della filiera è il consumatore, infatti, è una semplificazione che produce altri problemi.

Quali?
Ci arrivo subito. Il responsabile del prodotto è il soggetto che lo progetta e lo produce materialmente. Certamente chi lo vende ha la responsabilità dell’esecuzione, ma la responsabilità tout court va divisa all’interno della filiera.

Quindi?
Se il legislatore si ponesse il problema della filiera avremmo risolto tutti i problemi e non ce li saremmo trovati qui oggi.

Invece?
È più facile per il legislatore semplificare e intervenire sull’ultimo anello: noi e le nostre reti di vendita. In Italia quasi nessuno produce più, i distributori sono caricati di oneri, i produttori hanno, invece, molta liberalità. E noi dobbiamo sopperire al tutto anche per loro. Detto questo, bene fa l’autorità garante a interrogarsi su quanto succede. Ma meglio farebbe a interpretare il settore leggendo le implicazioni che arrivano dallo scorrere dell’intera filiera. Ognuno, infatti, porterebbe la sua parte di contributo alla soluzione dei problemi.

Fai un esempio pratico.
L’autorità garante dice che non vengono date informazioni dettagliate sui tempi di riparazione del prodotto. A parte che c’è una oggettiva difficoltà a darle perché ogni prodotto è un sistema di particolari a sé stante. Il codice del consumo parla di congruo tempo di riparazione, non ci sono limiti. Capisco che da parte del consumatore ci sia un dubbio perché non c’è una quantificazione. È la legge che è vaga, forse volutamente e lascia tutti scoperti a seconda di chi la interpreta. Il legislatore ci dica in modo chiaro se abbiamo a disposizione 30 o 60 giorni e su quelli ci organizziamo.

Questo, caro Pierluigi, succede perché avete una lobby che non riesce a influire sulle istituzioni italiane, figuriamoci su quelle europee…
Diciamo che è molto limitata, soprattutto nell’elettronica di consumo. Ancora oggi il settore di riferimento per le garanzie è quello automobilistico che si è sempre basato sulle concessionarie e autofficine monomarca, ma oggi non è più così e bisogna ragionare sull’intera filiera di settore. Perché dobbiamo constatare che qualcuno importa prodotti con garanzia di 12 mesi se il codice di consumo parla di 24?

Se voi lo vendeste sareste fuori legge…
Infatti nessuno lo fa. Anche se ci sono eccezioni illustri. Se non funziona la lavatrice il cliente chiama il centro di assistenza della marca. Esce e paghi dei diritti oltre alla riparazione, ma se dopo altri tre mesi la macchina non funziona, va dal retailer che glie l’ha venduta e si lamenta: lui cosa può fare? Sarà responsabile, certo, ma con poche informazioni per intervenire in modo coerente e le difficoltà nel frattempo, si moltiplicano.

E l’onere della prova?
Se vai sul sito dell’autorità garante ti danno informazioni che non citano l’inversione dell’onere della prova, perché evidentemente non è bello evidenziarla, ma omettendo questo passaggio danno fiato a qualsiasi recriminazione da parte dei clienti. Garantire non significa decidere a senso unico, ma garantire tutti i passaggi e tutti gli attori della filiera, produttori, distributori, consumatori ognuno dei quali ha una diversa responsabilità. Se questo è vero, e lo è, l’Autorità garante dovrebbe assumere un altro atteggiamento. Non è certo un’accusa, ma una constatazione.

Bene, permettimi, allora questa domanda. Siete iscritti all’Aires che fa parte di Federdistribuzione, che a sua volta aderisce a Confcommercio. Come mai pur avendo una struttura patrimoniale e di immobilizzazioni tecniche, livelli occupazionali di tutto rilievo, non avete lo stesso peso politico delle organizzazioni dei produttori-importatori? È un problema di costruzione di lobbying e di costruzione del consenso o c’è dell’altro?
All’interno di Confcommercio gli interessi di tutte le federazioni socie non sempre sono coincidenti. Confcommercio per sua natura deve in qualche modo bilanciare spinte a volte contrapposte.

Allora il problema qual è?
Tutto si può migliorare. Forse ci vorrebbe più partecipazione degli imprenditori in prima persona e questo non è certamente un problema di Confcommercio, ma l’associazione dovrebbe favorire la loro partecipazione coinvolgendoli e favorendo la loro partecipazione diretta.

Anni fa si parlava di un ministero del Commercio e dei servizi. Secondo te si potrebbe riproporre una simile ipotesi?
Oggi le attività sono interconnesse e un ministero dedicato è improponibile, basterebbe un sottosegretario che operasse da ponte verso le altre controparti. I Mister prezzi vanno tutti bene, però non basta andare negli ipermercati o nella grandi superfici specializzate a rilevare i prezzi, ma bisognerebbe, per esempio, verificare le fatture dai produttori o dagli importatori per vedere quali sono state esattamente le pratiche commerciali seguite: nessuno è così matto da rinunciare a  quote di margine in nome della scontistica.

Perché, allora, non suggerite un percorso diverso?
Non compete a noi, potrebbe farlo un’associazione di consumatori o l’Antitrust direttamente. Scelgono la strada più facile, la verifica in negozio, ma non è giusto.

Perché allora non promuovete forme di conoscenza incrociata coinvolgendo le associazioni dei consumatori?
Difficile. Si può fare se si rifonda la modalità di dialogo fra tutti gli attori per ottenere il massimo vantaggio per l’intero sistema o l’intera filiera.

Ho una obiezione. All’assemblea di Confcommercio non ci sono mai fra gli speaker le associazioni dei consumatori, a quelle di Federdistribuzione neppure, niente ad Adm, ne a quelle di Aires. Non sarebbe il caso di invitarle e coinvolgerle con un trattamento alla pari? D'altronde sono una delle vostre controparti, volenti o nolenti…
Se avessimo gli strumenti legislativi si potrebbe fare, ma il legislatore, non si sa perché, è pronto a impallinarci; le associazioni di consumatori, che fanno il loro mestiere, pure, anche se sono troppo frazionate, hanno sempre un fucile in mano. Siamo in un sistema che sa guardare, come dicevo, solo a quel che succede nei negozi.

E allora?
Allora ci vuole un tavolo di filiera che in forma di collaborazione e non di contrapposizione si ponga come interlocutore unico al di là del risultato immediato. Ci vuole una visione di medio e lungo periodo.

Il tutto si complica con l’avvio della disintermediazione prodotta dalle attività di internet…
Eh, già. Allora il garante e le associazioni di consumatori si dovranno finalmente rivolgere a società di diritto lussemburghese o monegasco e trattare direttamente con loro. Prendiamo la normativa per le transazioni transfrontaliere e per le vendite a distanza: la garanzia è quella del paese di chi vende o del paese che riceve la merce, il Raee chi lo deve pagare? È veramente una complessità in aumento. Lo ripeto: perché rivalersi solo sul punto di vendita?

I rapporti con le associazioni dei consumatori come sono?
In generale buoni, dipende dal momento e dall’oggetto del contendere. Alcune volte intervengono in maniera spontaneistica, ma sono pronte comunque a discutere. Il problema è quando vogliono entrare nelle problematiche tecniche, di dettaglio, dove è davvero difficile districarsi, e poi…

E poi…
Bisognerebbe sfatare il mito che il consumatore ha sempre ragione e il retailer ha sempre torto. Noi difendiamo i diritti regolamentati e non i soggetti.

Bene: perché non cominciate a fare educational sul cittadino oltre ché sul consumatore?
Sull’informazione stiamo lavorando da sempre. Siamo i più grandi editori tecnici e cerchiamo di essere imparziali. Stiamo cercando di portare avanti anche aspetti del cosiddetto consumerismo, anche se non è esattamente il nostro compito. Ma quando, per esempio, dobbiamo affrontare il tema della garanzia, il produttore ci dice: eh no, la garanzia la do io, quando poi il cliente si rivolge a noi, con il libretto delle norme di garanzia del produttore, che non sono quelle legali, come dobbiamo comportarci?

Che forme di pressione potete adottare?
Difficile dirlo. Abbiamo l’obbligo del Raee, perché anche i comuni non ce l’hanno? Dobbiamo accettare il principio del Raee e ritirare i prodotti vecchi e se i comuni non fanno le piazzuole di ritiro, come la mettiamo? Chi paga la distanza a cui dobbiamo portare quintali e quintali di prodotti perché le piazzuole sono lontane dai nostri impianti commerciali? Perché dobbiamo ritirare gratuitamente i prodotti a domicilio quando invece i consorzi prendono i contributi per lo smaltimento?
Per rispondere alla tua domanda: non dobbiamo più ritirare i prodotti? Li dobbiamo lasciare per strada? Per protesta? Ritorno a quanto ho già detto: siamo obbligati a parlare di efficienza: ma l’efficienza non è a senso unico, bensì cercata e spalmata su tutta la filiera, non credi?

Chi è Pierluigi Bernasconi
Inizia la sua carriera come agente di commercio.
Dal 1980 è in una multinazionale giapponese, attiva nel settore dell’elettronica di consumo, fino a diventare direttore della divisione audio-video.
Nel 1990 diventa project leader dell’iniziativa Mediamarket del gruppo Metro.
Oggi è direttore generale e amministratore delegato del gruppo leader nella vendita dell’elettronica di consumo in Italia con una quota del 15%. Tralasciamo volutamente premi e riconoscimenti e concentriamoci sull’uomo che è l’anima, con certamente la sua squadra, di Media World e Saturn.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome