Big data marketing e programmatic advertising: dove va il valore?

I dati da soli non creano valore. La decisione di marketing, anche quando automatizzata, si.

Scanning facciali e basi dati che sanno tutto di noi? Non è piu’ materia da telefilm. Siamo nel mondo del big data marketing. I nuovi intermediari di dati riescono a raccogliere e (soprattutto) sincronizzare informazioni da fonti molto diverse per ricostruire il profilo anagrafico, psicografico, comportamentale di ognuno di noi, sia in termini storici che predittivi. Quello che cerchiamo, acquistiamo e usiamo, incluso il dove e quando, genera continua informazione sul chi e come siamo come consumatori. Le nostre reti sociali e le conversazioni raccontano la nostra socialità. Lo scanning intelligente delle nostre immagini documenta la nostra vita quotidiana, il nostro stile di vita, le nostre relazioni.

Se il marketing è il management dei processi di creazione di valore per gli attori di mercato la domanda è: come vengono utilizzati questi dati ai fini della creazione di valore? In teoria, le aziende che dispongono di dati molto precisi e in tempo reale sulle aspettative (informazioni, servizi, prodotti, esperienze) del consumatore, in ogni contesto di consumo o punto di contatto, possono aggiungere molto valore a queste esperienze. Possono fare offerte personalizzate e contestualizzate, dare informazioni e servizi tempestivi e di qualità e persino costruire piattaforme a supporto dello sharing e co-creazione in tempo reale tra i membri delle reti sociali coinvolte. Questo nuovo modo di fare marketing può diventare la base per migliori performance competitive ed economiche delle aziende che lo adottano, anche attraverso l’ innovazione dei modelli di business.

Oggi le organizzazioni di marketing, in ambito big data, sembrano investire soprattutto su due fronti:

1) il miglioramento della conoscenza sul mercato (customer insight a supporto dell’ innovazione di prodotto ma anche sistematica prevenzione del rischio reputazionale attraverso la social intelligence massiva e in tempo reale) e,

2) il programmatic advertising.

Come ricorda anche una recente ricerca di SDA Bocconi, il nuovo customer insight management stenta ad acquisire un nuovo ruolo nelle organizzazioni che dispongono dei nuovi dati. Difficile è anche integrare la conoscenza più profonda e culturale del consumatore con i dati di comportamento. Più semplice, anche se non poco costosa, sembra essere la diffusione dei nuovi sistemi di intelligence e control center. Sembrano meno diffusi i casi di crisi reputazionale non gestita sui social media, proprio grazie alla raccolta e distribuzione in tempo reale degli alert sui rischi. In generale, comunque, salta agli occhi che lo sforzo maggiore da parte dei grandi player di mercato (grandi advertiser, grandi agenzie, maggiori Internet companies come Google, Facebook, tra gli altri) sembra essere dedicato alla riorganizzazione e rilancio dei processi pubblicitari, soprattutto in logica di programmatic advertising e real-time bidding.

Il nuovo modo di vendere e acquistare la pubblicità attraverso matching automatico dell’ offerta e della domanda di spazi/contatti pubblicitari sta riorganizzando il settore ma anche le logiche dell’ advertising. Utilizzando i (big) dati sincronizzati sui consumatori le transazioni diventano pù efficienti e il matching/targettizzazione più preciso. Non si acquistano piu’ “audiences” ma profili specifici, anche aggiornati con i dati di comportamento in tempo reale.

Da ciò nascono le nuove tecniche, ad esempio, di retargeting (messaggi pubblicitari basati sulla navigazione e comportamento precedente). Da ciò nasce anche la (spesso) ossessiva raccolta di dati/tracking sul consumatore, anche in mobile/geo-localizzazione. Le piattaforme social vanno nella stessa direzione. Non a caso Facebook è uno degli attori più rilevanti in questa riorganizzazione del mercato pubblicitario.

L’eco-sistema pubblicitario scricchiola ancora in termini di qualità (ad es. ci capita di ricevere ossessivamente pubblicità su un prodotto, dopo averlo cercato online, ma anche dopo averlo già acquistato) e non decolla con la velocità che i nuovi player avrebbero forse voluto; sembra indubitabile, però, che si stia andando in questa direzione.

Ma dove sta il valore per il consumatore in queste innovazioni? A parte l’evidente necessità di prendersi carico seriamente della protezione della privacy dei singoli individui, spesso inconsapevoli della mole e precisione dei dati raccolti sui loro comportamenti, è utile chiedersi anche come queste innovazioni promettano di cambiare la rete e i servizi/esperienze possibili per i consumatori.

Il big data marketing, in questa fase, sembra molto focalizzato su logiche interne aziendali e sulle necessità di ottimizzazione/efficienza pubblicitaria. Ma è (solo) questo il futuro del marketing digitale? Il dato non va in una direzione sola. E’ l’algoritmo (la decisione) che lo utilizza che produce valore. Quale altro software (altri meccanismi di utilizzo dei dati) possono (ri)spostare il focus sul valore per il consumatore?

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