Bilancio Ue, nodo da sciogliere

L'INTERVISTA DI COPERTINA – Il ministro delle Politiche Agricole, Mario Catania, fa il punto sulle prospettive del settore e sullo stato del difficile negoziato in sede comunitaria (da MARKUP 215)

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Archiviato il 2012 anno tra i più difficili per l'economia italiana del periodo postbellico, il sistema Paese guarda ai prossimi dodici mesi con l'ansia per una ripresa possibile, ma al momento tutt'altro che certa.
L'agricoltura non è stata immune dalla crisi e ha dovuto anche sopportare gli effetti negativi di fattori straordinari e diversi tra loro quali il terremoto in Emilia, il forte impatto sulle aziende agricole dell'introduzione dell'Imu, il continuo rinvio delle decisioni a livello europeo sulla Politica agricola comunitaria. Sulla situazione attuale, e sulle prospettive per il futuro, facciamo il punto con il ministro delle Politiche Agricole, Mario Catania.

Signor ministro, non possiamo non partire da qualche considerazione sulla crisi che stiamo attraversando e sui pesanti riflessi per il nostro Paese. Nella sua visione cosa dobbiamo attenderci per il prossimo anno? E quanto il settore dell'agricoltura risentirà della situazione globale del Paese? Sarà un nuovo anno difficile oppure il settore agricolo inizierà a dare i primi segnali di ripresa?
Questo Governo, al momento del suo insediamento, si è trovato adover affrontare una situazione davvero critica, che ha richiesto interventi forti e coraggiosi, anche pesanti. Questo ha provocato un aumento della pressione fiscale, doloroso ma necessario. Ora speriamo di poter voltare pagina. Per quanto riguarda nello specifico il settore agricolo è stato chiamato a sacrifici importanti, ma siamo riusciti a fare in modo che l'agricoltura sia considerata in modo diverso, recuperando un ruolo non marginale. Nel corso di questi mesi sono stati molti gli interventi che abbiamo fatto per il comparto, cercando anche di snellire il carico burocratico per gli imprenditori agricoli. Mi auguro che il prossimo Governo non vanifichi quanto è stato fatto finora, ma che anzi manifesti la volontà di proseguire nella fase di risanamento che è appena cominciata e che sappia dare la stessa attenzione che il Governo Monti ha dato al comparto, raccogliendo i frutti di questo lavoro.

Proprio durante la crisi di questi anni abbiamo assistito a un'inversione di tendenza per quanto riguarda l'imprenditoria giovanile: dopo anni di progressivo abbandono i giovani ritornano a fare impresa nel settore agricolo. Ritiene sia un cambiamento contingente o strutturale? Come è possibile incentivare l'ingresso dei giovani in questo comparto e quali strumenti il Ministero da lei guidato ha messo e intende mettere in campo?
Possiamo senza dubbio dire che c'è un ritorno di attenzione da parte dei giovani che non hanno più un atteggiamento di preclusione netta nei confronti dell'agricoltura. In passato c'è stato un periodo in cui sembrava quasi offensivo invitare i giovani a lavorare nel comparto. Oggi invece, anche perché è svanita l'illusione di una certa industrializzazione, in particolare quella relativa ad alcuni settori che non solo sono tramontati, ma hanno lasciato pesanti ricadute anche sull'ambiente, stiamo assistendo a un ricambio generazionale che va sostenuto. Ai giovani occorrono incentivi adeguati soprattutto per gli investimenti iniziali. Devono essere aiutati a trovare la giusta dimensione aziendale, a compiere gli investimenti più corretti, ad avere accesso al credito. In questo campo stiamo cercando di migliorare la normativa comunitaria, che prevede aiuti per il cosiddetto primo insediamento e inoltre va facilitato anche l'accesso al credito. Con Ismea abbiamo già messo a punto nei mesi scorsi strumenti specifici, mirati soprattutto ai giovani imprenditori e alle start up.

I rischi maggiori per l'agroindustria italiana sembrano al momento venire dal mancato accordo sul budget europeo 2014-2020. La discussione riprenderà a gennaio, ma un eventuale taglio al bilancio finirebbe per penalizzare l'Italia, Paese che contribuisce al bilancio per una quota superiore rispetto a quella che riceve. Gli eventuali tagli colpirebbero in particolare proprio l'agricoltura. Con quali riflessi? Quali possibilità ci sono di evitare un simile rischio?
Purtroppo il mutamento dello scenario politico ci ha messo in una condizione problematica per il proseguimento del negoziato europeo sul bilancio e anche per la fase finale del negoziato sulla Politica agricola comune. Nelle fasi precedenti delle trattative sul bilancio europeo, il presidente Monti ha lavorato molto per ottenere nel quadro del negoziato un aumento nell'assegnazione delle risorse per il nostro Paese sia per gli aiuti diretti che per lo sviluppo rurale. Questo lavoro ha già portato a dei risultati, qua-
li un primo incoraggiante segnale da parte della Commissione di riconoscimento di assegnazioni supplementari nell'ambito del secondo pilastro. Tuttavia a nostro avviso si dovrà ancora lavorare nel negoziato per cercare di ottenere quella congruità nella distribuzione delle risorse agricole che spetta all'Italia. È un problema di effettivo riconoscimento del peso che la nostra agricoltura e il nostro settore agroindustriale rappresentano in ambito comunitario. L'Italia ha uno "share" di PLV agricola che in media è il 13% dell'Ue e un valore aggiunto che si attesta intorno al 17%. Ma è anche un problema di posizionamento sulla contribuzione netta al bilancio dell'Unione: il nostro Paese non può peggiorare un livello di contribuzione netta che al momento è troppo penalizzante, con il rischio che questo gap possa aumentare in futuro. Al momento il negoziato sta procedendo, ma a livello di contatti tecnici. Anche la ripresa della discussione a Bruxelles, prevista per febbraio, potrà risentire della crisi del Governo e comportare degli effetti sul calendario istituzionale. In sintesi, non siamo ancora soddisfatti degli assetti per l'Italia relativi all'agricoltura, sia per quanto riguarda il budget sia per le soluzioni normative. In particolare sul budget, anche se abbiamo avuto il riconoscimento di un bonus di un miliardo di euro nell'ambito del secondo pilastro, il quadro complessivo non è ancora all'altezza delle aspettative del nostro Paese.

L'incertezza sul bilancio comunitario ha già avuto l'effetto di rallentare per l'ennesima volta l'approvazione della nuova Politica Agricola Comunitaria. Secondo molti analisti del settore siamo già oltre il tempo massimo perché un eventuale accordo possa dispiegare i suoi effetti nel 2014. Quale opinione si è fatto in proposito e quali sono le aree di intervento più urgenti?
Il mancato accordo sul bilancio pluriennale dell'Unione europea purtroppo non ci fa sperare bene. Tutto dipende dal Consiglio di febbraio, dalla portata dell'accordo e dalle risorse che saranno assegnate al settore. Come sappiamo, infatti, il Consiglio europeo non tornerà sul dossier prima di febbraio e poi ci vorranno almeno due riunioni dei ministri europei dell'agricoltura e solo a quel punto comincerà la fase del trilogo con il Parlamento Europeo. I tempi sono molto stretti e su molte tematiche l'accordo sembra lontano. Tuttavia, l'attività sta procedendo intensamente sia a livello di gruppi di lavoro, sia al Comita-
to speciale agricoltura per affinare le posizioni e cercare di apportare modifiche alla proposta iniziale della Commissione. A livello di Consiglio dei ministri dell'agricoltura il dibattito sui vari aspetti della riforma è costante e su diversi argomenti si sono compiuti dei progressi significativi. Come ad esempio per il greening, dove abbiamo ottenuto delle aperture significative e rilevanti. Tuttavia le questioni sul tavolo sono ancora molte e dobbiamo fare in modo che la qualità dell'agricoltura italiana sia adeguatamente considerata e valorizzata e non certo penalizzata.

Un tema centrale per l'agricoltura italiana è quello della tutela del Made in Italy e della lotta all'agropirateria. Come si sta muovendo il suo ministero a questo proposito?
La lotta contro l'agropirateria è una priorità e la lotta contro l'illegalità in generale è una delle principali sfide che dobbiamo vincere perché il livello di illegalità che c'è nel nostro Paese è incompatibile con il suo stesso futuro. Per quanto riguarda nello specifico la tutela del made in Italy agroalimentare, abbiamo intensificato la collaborazione tra i nostri organismi di controllo: l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi, il Corpo Forestale dello Stato, il Nucleo Antifrodi dei Carabinieri e la Guardia Costiera-Capitanerie di Porto. Sono state attivate anche collaborazioni con altri organi, come l'Agenzia delle Dogane e, a livello internazionale, l'Interpol. Infatti, il fenomeno della contraffazione e l'Italian sounding non solo sono ormai diffusissimi in tutto il mondo, ma sono in continua evoluzione ed è quindi importante cercare di avere un controllo capillare e costante. Inoltre, un altro modo per tutelare sia i consumatori che i produttori onesti da questa piaga, è 'esportare' anche all'estero la vera cultura del buon cibo e della tradizione italiana così da far conoscere il nostro patrimonio agroalimentare ai consumatori, rendendoli maggiormente consapevoli nei loro acquisti.

Ci sono interventi possibili per introdurre miglioramenti capaci di avere effetti positivi per tutta la filiera?
Uno degli interventi più importanti per la filiera è stato l'articolo 62 della legge liberalizzazioni con cui abbiamo introdotto l'obbligo di contratti scritti e dei termini di pagamento, prevedendo sanzioni per i comportamenti sleali. Con questa norma abbiamo dato trasparenza ed equità alla filiera con l'obiettivo di tutelare, all'interno dei rapporti, quei soggetti che sono stati sempre svantaggiati a causa degli squilibri di potere che esistevano. Abbiamo fatto senza dubbio un enorme passo in avanti, ma per migliorare il funzionamento complessivo della filiera, occorre una volontà condivisa da parte di tutti i soggetti coinvolti, a partire dalle stesse organizzazioni di categoria. Serve infatti una maggiore aggregazione e occorre che uno strumento come l'interprofessione possa davvero essere messo in pratica. A questo riguardo stiamo lavorando ad una bozza di revisione del decreto legislativo 102/2005. Aumentare l'efficienza della filiera significa anche poter fare a meno di intermediazioni inutili e ottenere dei benefici pure in termini economici.

Lei ha più volte sottolineato come l'Italia sia ancora lontana dall'essere autosufficiente dal punto di vista dell'approvvigionamento alimentare: anche per questo motivo si è schierato contro il cosiddetto fotovoltaico a terra. Ci può spiegare le motivazioni? Quali sono le prospettive dell'auto-approvvigionamento in Italia e a livello internazionale?
Oggi un italiano su cinque mangia grazie a quanto importiamo dall'estero. Il livello di auto-approvvigionamento alimentare dell'Italia non è sufficiente a coprire i nostri bisogni e siamo quindi dipendenti da altri Paesi. Con l'aumento della popolazione mondiale e con i nuovi scenari geopolitici del prossimo futuro, le risorse alimentari e quelle idriche saranno sempre più richieste e preziose. Le dimensioni del cosiddetto 'land grabbing' ci danno la misura del fenomeno. Per queste ragioni, e anche per altre motivazioni altrettanto fondamentali come quelle legate alla tutela dell'ambiente, è evidente che i terreni agricoli devono essere preservati e tutelati. Dobbiamo fare in modo che l'agricoltura sia mantenuta sul territorio. Questo non ha un effetto positivo solo per quanto riguarda la produzione del comparto, ma anche perché l'agricoltura è il primo vero presidio ambientale.

La valorizzazione delle aree agricole, e di conseguenza la lotta alla cementificazione, sono una delle battaglie da lei intraprese nell'azione di governo: lo scorso 16 novembre il consiglio dei ministri ha approvato il Ddl contro il consumo del suolo, ma che tempi prevede perché possa essere convertito in legge? Perché ritiene indispensabili tempi rapidi?
Purtroppo non ci sono più i tempi sufficienti perché il ddl diventi legge prima della fine dell'attuale legislatura. È davvero un peccato dal momento che si trattava di un provvedimento fondamentale per il nostro Paese e che ha goduto anche dell'apprezzamento e dell'appoggio del presidente del Consiglio, che ne ha condiviso fortemente le finalità. Il provvedimento ha raccolto consensi anche in tutto il Paese e l'opinione pubblica si è mostrata molto sensibile a questa tematica. Un segno importante, dal momento che questo problema è stato a lungo dimenticato. Infatti, negli ultimi quarant'anni, in Italia sono stati persi 5 milioni di ettari di terreni agricoli, pari a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme. Va detto poi che i terreni che sono stati impermeabilizzati sono stati quelli più fertili e pianeggianti, come per esempio la Pianura Padana. Nonostante ciò, il processo di cementificazione continua a ritmi insostenibili. Ogni giorno 100 ettari di suolo vengono impermeabilizzati, causando un danno irreversibile con effetti negativi non solo per la produzione agricola e il settore in generale, ma anche gli effetti legati ai dissesti idrogeologici. È quindi di assoluta necessità porre un freno a questa situazione, intervenendo anche sull'utilizzo dei cosiddetti 'oneri di urbanizzazione' che senza dubbio hanno inciso nella crescita esponenziale della cementificazione avvenuta in questi anni in Italia.

Negli ultimi tempi lei ha fatto più volte riferimento alla necessità che l'Europa decida il rifinanziamento del piano di aiuti alimentari agli indigenti: a che punto siamo, e quali effetti positivi ha avuto il piano nel 2012?
Grazie al programma comunitario di aiuti alimentari agli indigenti siamo riusciti, nel corso dell'ultimo anno, a distribuire quasi 126 milioni di aiuti alimentari, per la stragrande maggioranza pacchi alimentari in grado di coprire più pasti. Un numero importante, soprattutto se pensiamo che gli indigenti assistiti nel nostro Paese sono aumentati notevolmente, passando da circa 2 milioni e 800mila persone nel 2010 a quasi 3 milioni e 700mila nel 2012. Inoltre, tra questi più di un quinto sono bambini tra i0ei5annieanzianiover65.Gli aiuti alimentari, distribuiti attraversol'AgenziaperleErogazioniin agricoltura (AGEA) e gli enti caritativi che collaborano con l'agenzia e che ci hanno aiutato a rispondere in maniera mirata alle esigenze degli assistiti segnalandoci per esempio la richiesta di alimenti particolari, sono un esempio significativo di come si possa intervenire nella società in una prospettiva di inclusione e di solidarietà. Ecco perché è fondamentale che il programma europeo possa proseguire anche in futuro, visto che al momento il Piano è assicurato solo fino alla fine del prossimo anno. L'obiettivo dell'Italia, che ha sempre ritenuto il programma un sistema fondamentale ed efficace, è continuare a negoziare a Bruxelles per farlo proseguire oltre il 2014, anche se purtroppo alcuni Stati membri non vogliono che questa misura venga rifinanziata. Noi faremo di tutto per evitare che ciò accada. Tuttavia, se avvenisse il contrario, siamo pronti a far partire il fondo nazionale per gli aiuti agli indigenti, cioè uno strumento per sopperire a livello nazionale alla mancanza del Piano Ue.

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