Bioplastiche biodegradabili, a che punto siamo nella ricerca?

Si testano nuove materie prime per produrle, dalle alghe alla Co2, ai diversi scarti da filiera. Nessun dubbio sulla loro sicurezza: ci sono standard da rispettare e norme alimentari da seguire. Il problema delle capsule da caffè

Il mercato delle bioplastiche biodegradabili è un settore che vale circa 545 milioni di euro in Italia, con 242 aziende e oltre 2mila dipendenti (dati Plastic Consult). La vasta parte del mercato è rappresentata dagli shopper e dai sacchetti ortofrutta, sacchetti per la raccolta dei rifiuti organici e in parte dai film agricoli per la pacciamatura. A seguire articoli monouso per gastronomia e catering, packaging alimentare e non.

Il punto di riflessione riguarda la loro affidabilità. “Non è questione di plastica tradizionale o bioplastica ma dell’utilizzo –precisa Marco Versari, presidente di Assobioplastiche-: se un materiale deve servire per utilizzo alimentare deve rispondere a quell’uso. E deve rispettare le normative ad hoc. Se si verificano incidenti significa che il materiale non era adatto al particolare utilizzo. Anche la plastica non biodegradabile se non è idonea a certe condizioni di temperatura si deforma e può rilasciare sostanze pericolose” precisa Mario Malinconico, dirigente dell’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Cnr di Napoli.

Normativa di riferimento

Piatti in plastica che si sciolgono a contatto con gli alimenti. Un recente episodio, accaduto in una mensa scolastica del Casalese, in Piemonte, ha destato allarme. Qual è la reale affidabilità?

Le bioplastiche, così come quelle tradizionali, nel momento in cui vengono realizzate per produrre manufatti, devono rispettare la normativa per il contatto con alimenti, la legge 123/2017, che recepisce una normativa europea. Il consumatore va garantito da qualsiasi plastica, tradizionale o biodegradabile. “Ci sono test severi per i materiali, con tanto di certificazione, per dimostrare che non cedano sostanze nocive e che a contatto con alimenti si comportino in modo neutro –spiega Giulia Gregori responsabile della pianificazione strategica di Novamont–. Per ogni materiale ci sono gradi diversi di resistenza termica. Noi garantiamo non solo che non ci siano cessioni ma che siano anche termoresistenti e non si deformino se  utilizzati anche in determinati condizioni di stress termico”.

Contatti e proprietà meccaniche

Ci sono, dunque, standard che riguardano il contatto con gli alimenti e le proprietà meccaniche. Che si tratti di plastiche “bio” o tradizionali, gli inconvenienti scaturiscono per usi non adeguati. Oppure perché vengono usati prodotti che hanno spessori e geometrie non adatti in certi contesti. I prodotti vengono stabilizzati per resistere a certe temperature e ai raggi uvb. “Nella catena di fornitura il  produttore di materia prima garantisce il trasformatore, poi il trasformatore deve garantire che da un granulo a un piatto abbia rispettato lui stesso i parametri” precisa Giulia Gregori.

Biodegradabile e compostabile

Un punto fermo è che la biodegradazione non è collegata alla materia prima, che può dunque sia essere di natura fossile sia da fonte rinnovabile, bensì al comportamento del materiale nel fine vita. “Lo standard europeo EN13432 dice in che tempi in un impianto di compostaggio un materiale si trasforma in acqua, Co2 e compost – precisa Versari –. I materiali compostabili, da 25 anni sul mercato, vanno nell’umido: è quella la loro destinazione. Peccato che ogni anno (dati Cic), vengono mandate erroneamente 120mila tonnellate di plastica non compostabile negli impianti compost. In Italia – aggiunge – circolano poi 30 milioni di chili di buste fuorilegge. Dal 2011 i sacchetti della spesa devono essere tutti biodegradabili. Nel 2019, è la buona notizia, per la prima volta abbiamo più del 50% di buste biodegradabili, dunque a norma”.

Marco Versari
Confusione nei consumatori

Il termine biodegradabile rischia, in verità, di creare confusione nel consumatore, che a torto crede di gettare il prodotto ovunque. “Onde evitare fraintendimenti non teniamo mai distinta la parola biodegradabile da compostabile – precisa Gregori –. La degradazione si deve esercitare in un ambiente specifico e controllato, anaerobico o aerobico, da parte di batteri”. Diverso è il discorso per le applicazioni per l’agricoltura, come ad esempio i film agricoli, che sono certificate biodegradabili in suolo.  “La biodegradazione per certi usi, come la pacciamatura agricola, è totale. Non rilascia sostanze nocive nel suolo: ci sono studi ad hoc. Non ci sono accumuli o impatti negativi sul suolo, sui microrganismi e sulla crescita delle piante” sottolinea Gregori.  “Per il 98%  sono usati quelli di plastica tradizionale  – fa notare Malinconico – ma la normativa prevede che vengano ritirati e gestiti secondo la filiera del riciclo. Il problema è che essendo sporchi di terra e antiparassitari non hanno un’economia di riciclo interessante per nessuna azienda e c’è dunque il rischio che vengano bruciati”.

Giulia Gregori
I nuovi materiali

Il mercato degli imballaggi vale 440 miliardi di dollari, di cui il 65 per cento consumati dall’industria alimentare. E di questi il 40 per cento è di plastica. Nell’ambito delle bioplastiche l’Italia è molto avanti a livello tecnologico. Ci sono i prodotti biodegradabili e compostabili da fonti rinnovabili, di natura fossile, o di origine mista. “Oggi nell’ambito delle bioplastiche biodegradabili da fonti rinnovabili ci sono due grandi classi – racconta Mario Malinconico –: da una parte i polisaccaridi come l’amido (di patate, riso, da scarti e bucce), in particolare quegli amidi che non hanno usi alimentari perché non hanno qualità per raggiungere certi standard.  Altri polisaccaridi sono i chitosani (secondo polimero più abbondante in natura dopo la cellulosa) e quelli derivati chimicamente dalla cellulosa. L’altra grande famiglia è costituita dai poliesteri: l’origine è il pet, che non è né biodegradabile né compostabile. Ma con lo stesso tipo di legame chimico c’è l’acido polilattico e tante altre  famiglie”.

I prodotti da fonte rinnovabile rispondono all’economia circolare: utilizzano materie prime del territorio, recuperando scarti da filiere, con un migliore impatto ambientale. All’orizzonte si stanno sperimentando anche materiali ricavati dalle alghe. Novamont è tra i produttori più innovativi. “Il nostro prodotto si chiama Mater-Bi ed è bioplastica biodegradabile e compostabile – spiega Gregori  –. Nasce da filiera  integrata con l’agricoltura e ha percentuali da fonti rinnovabili crescenti nel tempo. Arriviamo fino all’80% da fonti rinnovabili (dipende dal prodotto: l’obiettivo è arrivare al 100%)”.

Tra le altre aziende innovative su questo fronte vanno citati NatureWorks e Bio-On. Quest’ultima, azienda del Bolognese, produce bioplastiche (denominate PHAs, poliidrossialcanoati) tra le più all’avanguardia al mondo. Le ricava da fonti vegetali di scarto di lavorazioni agricole (frutta, patate, melassa di canna e barbabietola da zucchero, ma anche olio di frittura esausto), grazie al lavoro dei batteri che si nutrono del carbonio e sintetizzano polimeri. “I PHAs sono poliesteri lineari naturali stabili e con alte prestazioni – fa notare Marco Astorri, fondatore, presidente e ceo di Bio-On –. Non sono idrosolubili, ma biodegradabili”. Bio-On ha recentemente sviluppato una tecnologia che permette di produrre bioplastica da Co2.

Le cialde del caffè

Questione più complessa riguarda le cialde monodose per il caffè. Anche queste sono sottoposte alla normativa per contatto con gli alimenti. La scelta del materiale da adottare deriva dalla performance che deve avere a causa di pressione e temperature altissime, senza rilasciare odori.  Generalmente si usa plastica convenzionale, polipropilene, che finisce dunque in termovalorizzatori o discariche.  Nespresso non usa materiale compostabile ma alluminio che poi ricicla dopo averlo separato dei residui di caffè (solo il 43% della plastica viene riciclata secondo i dati del Corepla, anche se la raccolta nel 2018 è aumentata del 14%). “Le capsule compostabili in Mater-Bi, in un’ottica di economia circolare, possono essere gettate nel rifiuto organico e possono essere conferite in impianto di compostaggio insieme agli scarti del caffè, con una significativa riduzione degli scarti e delle emissioni di gas serra”  fa sapere Gregori.

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