Il tema del purpose di marca è diventato, negli ultimi anni, sempre più centrale. Non solo connesso a una questione di brand identity, ma parte attiva di un dialogo durevole con le persone e i territori. La sfida per i brand, in un contesto di trasformazione costante e incertezza è di stampo valoriale e richiede, anche nuove domande, in grado di misurare non solo l’impatto, ma anche le conseguenze delle proprie strategie di marketing rispetto all’immaginario collettivo e alla costruzione sociale.
Il tema è stato al centro dell’incontro "Be the change have an impact – Qual è il ruolo dei brand oggi", che ha riunito a Milano importanti attori del settore. L’evento, organizzato da Fastweb e OBE – Osservatorio Branded Entertainment, con il patrocinio del Comune di Milano, ha considerato la responsabilità dei brand nei confronti delle diverse fasce di popolazione e il modo in cui la loro comunicazione definisce il metro di giudizio del consumatore.
In un momento in cui, come sottolineato a inizio lavori, il 70% dei consumatori è disposto a boicottare un brand se le sue azioni non riflettono i valori, il 90% della GenZ ritiene che i brand debbano contribuire a risolvere situazioni sociali e per la quasi totalità dei consumatori le aziende rappresentano le istituzioni di cui le persone si fidano di più, il tema dei valori va trattato come prioritario. E la questione, di fatto, è complessa in quanto va a considerare sia questioni di identità di marca che di comunicazione e, a monte, l’intero sistema valoriale dell’azienda. Una questione di scelte che ricadono, inevitabilmente, sul cosa comunicare, andando a liberarsi di due trappole: washing e hushing. Tanto è scivolosa la prima, tanto è insidiosa la seconda, portando, di fatto, a una non comunicazione per paura di fraintendimenti o errori, a discapito di iniziative virtuose che potrebbero risultare come un punto di forza. Ad oggi, come argomentato da Anna Vitiello, Direttore Scientifico di OBE, strumenti come i progetti di branded entertainment risultano particolarmente profittevoli grazie alla loro capacità di coinvolgere in maniera trasversale, permettendo di raccontare in maniera più coraggiosa le azioni intraprese dai brand (un esempio interessante è il corto “I sogni non si macchiano”, di Dixan e Case del Sorriso di CESVI). La sfida attuale è proprio di comunicazione e riguarda sia la capacità di far arrivare alle persone l’impatto sociale, innescando quelle che Roberta Artuso, Manager of Brand Empowerment di Fastweb, ha definito “un cambiamento autentico”.
Da marketing a societing
La strada verso un cambiamento autentico passa dall’analisi dell’esistente, della situazione e contesto sociale, delle aspettative e delle realtà che si stanno già impegnando sui temi identificati dal brand come vicini ai propri valori.
Se la credibilità aziendale appare sempre più legata al ruolo sociale del brand, servono due macro trasformazioni, dibattute durante il primo panel dell’evento: il marketing deve evolversi in societing e lo storytelling in storydoing: l’impegno sociale viene posto al centro delle strategie di marca, riposizionando la brand reputation attraverso un racconto chiaro e coinvolgente delle azioni realmente intraprese, anche attraverso la comunicazione della loro misurazione e dell'impatto su persone e luoghi. Un cambiamento, questo, che funziona grazie alla collaborazione sia con istituzioni ed enti del terzo settore che con realtà riconosciute per il loro impegno sociale che prima ancora che contribuire alla credibilità del brand, sono fondamentali per la loro autorevolezza e conoscenza del contesto di riferimento, soprattutto rispetto a temi di grande attualità e sensibilità come il benessere mentale, i diritti civili, la violenza di genere e l’inclusione sociale.
In uno scenario in rapida trasformazione, dove come si legge chiaramente nell’anteprima del Rapporto Italiani Coop 2024, incertezza e desiderio di impegno sociale ridisegnano gli acquisti degli italiani (il 59% del campione coinvolto compra meno sia per risparmiare che per aiutare l’ambiente e ridurre l’impatto delle proprie azioni), la definizione di societing (neologismo coniato negli anni Novanta dal francese Bernard Cova dall’unione delle parole “society” e “marketing”) si rinnova. Se già nel 2008 Giampaolo Fabris all’interno del saggio “Societing. Il marketing nella società postmoderna”, sottolineava il superamento del solo impegno commerciale delle strategie di marketing, individuando il ruolo del brand come attore sociale in una società che più che di transazioni aveva bisogno di relazioni, oggi questo impegno assume una nuova maturità nel suo essere trasversale e continuativo e nel richiedere un’analisi costante dell’impatto degli investimenti aziendali in sociale, superando la frammentazione. Con un punto di attenzione, evidenziato da Paolo Iabichino (Direttore Creativo e Fondatore Osservatorio Civic Brands con Ipsos): "il rischio del brand activism è quello di deresponsabilizzare chi consuma". Anche se le nuove generazioni di consumo non comprano, ma scelgono di portare qualcosa nelle loro case perché c'è una connessione rispetto a quel modo di stare sul mercato da parte delle aziende, prima ancora di comunicare, non basta ricercare un coinvolgimento attraverso acquisti, like e condivisioni, ma è doveroso un impegno tangibile e costante.
Ascolto del territorio e coopetition
Definire nuovi punti di partenza per strategie societing è possibile sia attraverso il dialogo e il coinvolgimento di figure in continua evoluzione che rimarcano la nota definizione proposta nel 2016 dal sociologo Francesco Morace di "ConsumAutore", che attuando strategie di coopetition, collaborando con altre aziende, anche in competizione, e superando la frammentazione per lavorare insieme a un obiettivo comune. Serve, come indicato da Morace durante il primo panel, un'intelligenza contestuale, capace di comprendere, adattarsi e intervenire efficacemente rispetto a contesti e situazioni diverse tra loro e in evoluzione.
Per tale ragione l'ascolto del territorio è imprescindibile: "nessuna azienda può far nulla se non parte prima il territorio", ha sottolineato Claudia Spinelli (head of brand marketing Italy Red Bull) raccontando il progetto "64 bars" a Scampia e la collaborazione con oltre 100 associazioni locali. Ecco perché quell'agenda di riferimento invocata dall'Assessore al Welfare del Comune di Milano, Lamberto Bertolè, diviene lo strumento chiave per evitare di concentrarsi su iniziative spot, scegliendo invece di intervenire su progetti comuni, anche privilegiando progetti di marketing di prossimità.