Brand purpose e valori: come influenzano il customer journey

Attivismo di marca, csr, sostenibilità: sono tutti ritornelli che ormai si sentono declinati in più varianti, dove l'unico reale distinguo è tra chi parla e chi fa, investendo sugli asset giusti e facendo del civismo un vero e proprio modello di business. Una differenza che per i consumatori è ancora ardua da percepire, ma che pure sembra interessarli sinceramente, tanto che l'esperto di marketing Simon Sinek, che come molti esperti del settore tenta di racchiudere il cambiamento in pillole, dice che l'acquirente oggi “non compra più quello che fai, ma perché lo fai”.

Ora, è sempre bene ricordare che spesso, come insegna anche il neuromarketing, il consumatore non fa quello che dice di fare e che, anche quando lo fa, non sa spiegare le reali motivazioni della sua scelta. È anche vero, però, che certi mutamenti generazionali e storici poggiano su evidenze solide e razionali, che quindi si possono capire e intercettare. Che questa sia l'epoca di una nuova coscienza green e della comodità digitale non c'è dubbio e alcuni trend di consumo lo confermano anche all'atto pratico.

In questo contesto, la funzionalità del prodotto sembra davvero non essere più sufficiente e si guarda maggiormente al dietro le quinte del brand e dell'azienda. In che modo? Nuovi dati sul tema arrivano da Toluna, che ha coinvolto con uno studio 15 mercati, ovvero 13.990 rispondenti online, di cui 1.044 italiani. Vediamo a seguire i risultati del loro dichiarato.

In Italia il 70% degli intervistati dichiara di voler conoscere la posizione dei brand su determinate questioni etiche ritenute fondamentali, mentre l’80% afferma di essere disposto ad abbandonare i marchi meno “attivi” a favore di quelli più responsabili. Importante anche la condivisione: oltre la metà dei rispondenti dichiara di non comprare più prodotti da brand lontani dai propri principi. A premiare i valori dei brand sono, senza sorpresa, soprattutto i giovani: sono centrali nel processo di acquisto per oltre il 60% degli intervistati con un'età compresa tra i 18 e i 34 anni. Affermano, invece, di non modificare i propri comportamenti d'acquisto i baby boomer (55%).

Il 64% degli italiani pensa che le aziende siano tenute sempre più a prendere coscienza dei propri obiettivi e delle proprie azioni, rendendone conto al consumatore. Solo una percentuale inferiore all’1% non lo ritiene necessario. Tra le tematiche verso le quali gli intervistati mostrano una maggiore sensibilità: la salvaguardia dell’ambiente (67%), il contrasto alla povertà (61%) e i diritti umani (51%). A seguire, in coda, il tema della diversità e dell'inclusione (41%).

Secondo gli intervistati, i brand ricoprono un ruolo fondamentale nella guida della crescita sostenibile, conquistando il secondo posto (52%) nella classifica delle preferenze, subito dopo le istituzioni (71%). Seguono i cittadini (49%), i retailer (32%) ed infine le organizzazioni no profit (21%). Su questo fronte gli intervistati riconoscono ai marchi un importante cambio di rotta post pandemia. Tra le best practice osservate: una maggiore varietà di prodotti e servizi sostenibili (35%), migliori condizioni di lavoro e più sostegno al benessere dei dipendenti (35%) e l'ottimizzazione dei prodotti per soddisfare nuovi usi e attitudini dei consumatori emersi durante gli ultimi 18 mesi (34%).

Guardando, infine, ai canali di comunicazione, l'influencer marketing sembrerebbe non convincere (della sua evoluzione parleranno, non a caso, anche gli esperti intervistati sul numero di Mark Up in uscita a dicembre 2021)  Per informarsi sulle azioni dei brand in chiave sociale ed etica, i consumatori ritengono più affidabili i canali dedicati esclusivamente all'informazione (60%), la stampa (59%) e la radio nazionale (58%). Poca credibilità viene, invece, è attribuita appunto agli influencer, giudicati i meno attendibili (29%), mentre a metà classifica troviamo i social media (46%) e i podcast (36%). Per gli intervistati, inoltre, i brand si dimostrano più fedeli ai propri valori all'interno degli store (67%), nella pubblicità (62%) e su internet (60%), mentre i call center (39%) sono considerati i mezzi meno incisivi.

 

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