Brand urbanism, un pensiero di lungo periodo

Le imprese stanno assumendo un nuovo ruolo contribuendo in modo attivo alla rigenerazione urbana per creare spazi sostenibili, equi e vivibili

In che modo le aziende possono essere vicine ai territori? E come portare a un nuovo livello le politiche di Csr, sviluppando azioni durature, capaci di portare valore e di essere, al contempo, allineate con il purpose aziendale? Questi interrogativi, diventati sempre più frequenti, spingono le aziende nella ricerca di nuovi punti di riferimento nella società, dove parole come prossimità, territorialità, comunità hanno assunto significati più estesi. Sono le relazioni il punto di partenza e di successo di progetti che vedono nel dialogo condiviso una modalità duratura ed efficiente di sviluppare strategie Csr declinate nell’economia di prossimità, nei territori e con un impatto reale e continuativo nelle persone. Oggi le aziende sono sempre più attori sociali che possono contribuire in modo attivo alla rigenerazione urbana e sociale per immaginare, insieme ad amministrazioni, abitanti, associazioni, mondo no profit, una nuova idea di città più sostenibile, equa e vivibile. Un’idea necessaria, della quale erano stati intuiti i confini e le potenzialità pre-lockdown e che si è consolidata proprio durante l’anno più duro dell’emergenza sanitaria, ruotando intorno al concetto di collettività, e portando al bisogno di rivivere la comunità, perché mai come in questo momento c’è bisogno di riportare i cittadini all’interno di spazi comuni. È da queste premesse che si concretizza un concetto solo apparentemente recente, quello di brand urbanism: la collaborazione tra aziende, amministrazioni e cittadini per contribuire alla rigenerazione di un territorio attraverso la trasformazione di uno spazio fisico e la creazione di un’impronta di educazione sociale che andrà a supportarne l’evoluzione, in una prospettiva di benessere per chi vi abita e in un forte impatto positivo sulla reputazione dell’azienda che sostiene il progetto. Una strategia win-win, che, per funzionare correttamente, ha necessità in primis di avere un’utilità sociale, rispondendo in modo concreto ai bisogni sociali, culturali, ambientali dei cittadini, coinvolgendo i destinatari, sin dalle prime fasi di progettazione, di porsi all’incrocio di una rete di relazioni e, soprattutto, di nascere da una comunanza di valori. Nascono così nuovi percorsi verdi, aree di gioco e relazione, i quartieri riscoprono una loro identità nell’economia di prossimità, i borghi vivono una seconda vita nell’arte e le aree verdi vengono rigenerate.

La spinta dal basso

Un progetto di brand urbanism, per potersi definire tale, deve rispondere ai bisogni di una comunità. La comprensione del fenomeno parte proprio da qui: per tradurre le politiche di Csr in iniziative di rigenerazione urbana è necessario, in primo luogo, dialogare con gli attori del territorio per comprenderne peculiarità, emergenze, necessità, bisogni e desideri e verificare la presenza di una cittadinanza attiva che si sta già impegnando per la rigenerazione locale e può essere supportata dall’azienda. “Riqualificazione vuol dire agire sullo spazio fisico, ma rigenerazione sono anche le persone, le relazioni, l’ambiente naturale: è una parola più complessa che porta a ridare vita, reinventare, riportare economie dove non ci sono più”, spiega Elena Granata, docente di urbanistica del Politecnico di Milano nel podcast Will, “Città”. Spesso è proprio questa cittadinanza attiva il punto di partenza che vede nell’Italia una possibilità di grande ispirazione, i patti di collaborazione introdotti nella legge di revisione costituzionale nel 2001, che ha integrato nella Costituzione il principio di sussidiarietà orizzontale, agevolando le attività promosse e messe in pratica dalla popolazione per migliorare la vita di tutti. Uno degli esempi più interessanti, raccolto da Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà, è il progetto dei Condomini collaborativi, un contenitore di esperienze di vicinato collaborativo dove dall’iniziativa dei diretti interessati nascono esperienze che danno nuova fiducia e prospettive. Nel dare nuovi spazi o nell’ottimizzare quelli esistenti, con un conseguente miglioramento della qualità della vita dei cittadini, non si trasformano solo i paesi e le città, ma anche le stesse aziende che rafforzano il legame con il territorio e hanno la possibilità di vedere e toccare con mano il risultato delle proprie azioni. Per le aziende fare brand urbanism è oggi sempre più una questione culturale con ripercussioni su reputazione, immagine e relazione con i dipendenti. Il senso di appartenenza è al centro di questa economia della prossimità che ricerca la relazione e, al contempo, esalta l’unicità locale, creando rigenerazioni urbane consapevoli che costruiscono la città del futuro e ridanno nuova vita a periferie e paesi. La ricerca del tessuto sociale virtuoso deve rispettare un equilibrio dove, commenta Silvia Rossi senior vice president di Dentsu Creative: “Il brand non può essere la città: è il tessuto connettivo che aiuta a farla crescere, che contribuisce al benessere, che lascia dei beni comuni che possono esistere anche senza la sua presenza”. La chiave di volta sta proprio qui: capire come definire interventi in linea con il purpose, integrandosi all’esistente per far nascere anche nuove opportunità di relazione, commenta Diana De Marchi, presidente Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano Delega Lavoro e Politiche Sociali Città Metropolitana Milano: “Un’occasione interessante viene dalla formazione. Si potrebbe costruire un percorso con gli enti formativi per risolvere il problema dell’occupazione, ma sarebbe utile capire dal settore retail quali sono le professioni necessarie, anche direttamente in relazione al territorio in cui l’azienda opera, per riportare nuova fiducia rispetto al progetto di vita delle persone. Per questo il primo passo della collaborazione tra azienda, pubblica amministrazione e cittadini sta nell’ascolto e nel confronto, che può essere agevolato da una figura dedicata che Rossella Sobrero identifica come tessitore sociale. Così, il progetto può davvero durare nel tempo, contribuire alla definizione di aziende come comunità educanti e presenti “per” il territorio, prima ancora che “sul” territorio.

Tra smart city e territori da riscoprire

Gli ambiti di intervento della rigenerazione urbana sono dettati dalle caratteristiche locali e, proprio per questo, in continua evoluzione. Una sfida interessante vede ampio spazio d’azione nella creazione di città intelligenti, capaci di gestire le risorse in modo sostenibile e inclusivo rispetto alle persone. Fortemente promosso dall’Unione Europea, che conta tre quarti della sua popolazione in aree urbane, il mercato delle città intelligenti si propone di migliorare la qualità della vita dei cittadini e aumentare la competitività delle città e delle imprese per il raggiungimento degli obiettivi Ue in termini di energia e clima. La strada verso la creazione di smart city rappresenta una vera e propria tela bianca dove, seguendo le linee guida Ue, pubblico e privato possono lavorare sui cambiamenti individuati anche dallo studio CityVisions Trend 2021 che spaziano dall’innovazione tecnologica a nuove forme di mobilità, più gentile e più walkability, dando attenzione al benessere e alla salute insieme a un riavvicinamento alla natura. Qui si inserisce un tema caro a diverse amministrazioni, quello della “città dei 15 minuti” che raggruppa tutti i servizi più importanti per il cittadino secondo un principio di distanza temporale. Le aziende possono insomma diventare parte attiva attraverso campagne di sensibilizzazione e rigenerazione, soffermandosi sull’analisi dei singoli quartieri dove, nel caso del comune di Milano, “sono state avviate delle facilitazioni burocratiche per semplificare la condivisione delle manifestazioni di quartiere. La relazione tra pubblico e privato deve rafforzarsi partendo da quello che chiedono le persone e dal modo in cui vivono la città”, spiega Diana De Marchi, aggiungendo che “la pandemia ha sottolineato il valore delle relazioni come cura. L’amministrazione ha avuto in quel periodo un enorme sostegno dalle persone che si sono messe a disposizione degli altri, dei quartieri. Si è proseguito da qui, con un lavoro sulla trasformazione della città 15 minuti che permetta di avere tutti i servizi, ma anche di sostenere quel senso di vicinanza e del far rete”.

Storydoing

Qualunque sia l’ambito o il territorio oggetto dell’intervento di rigenerazione, è fondamentale un piano di comunicazione strategico e di lungo periodo che ne accompagni le tappe di realizzazione, segua l’andamento del progetto nel tempo e mantenga un alto livello di engagement con le persone. Fondamentale una trasparenza completa e ben comunicata sin dalle prime fasi di lavoro: obiettivi previsti e raggiunti, finanziamenti e relativa tracciabilità, ma anche focus sul perché delle scelte e degli attori coinvolti devono far parte della comunicazione che accompagna il progetto. Le iniziative di brand urbanism hanno infatti, un’alta notiziabilità che deve seguirne le stesse logiche e quindi procedere in ottica storydoing con making of e dietro le quinte, racconti dai protagonisti, aggiornamenti, contest e un’apertura alla collaborazione in linea con l’esigenza di dialogo costante alla base di queste operazioni. Il tutto, senza dimenticare le possibilità offerte dalla realtà aumentata che può diventare, grazie a semplici Qr, parte di un racconto in divenire.

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