Brexit: l’effetto sul Made in Italy

Quali saranno le implicazioni non solo a livello macroeconomico, ma anche per i singoli comparti industriali. Ad esempio quello alimentare (da Mark Up 251)

La  preoccupazione,  su  questo  fronte, è alta, perché Brexit non riguarda solo i  produttori britannici, ma qualunque produttore, sia Ue sia al di fuori dell’Unione, che serve il mercato Uk.

È la prima volta che un Paese membro dell’Unione decide di lasciarla, le trattative di un divorzio non saranno semplici  e  la  permanenza  di  una  situazione di incertezza sui mercati non sarebbe senza conseguenze.

Il grande tema sul tavolo sono i rapporti commerciali. Il Regno Unito importa il 50% del proprio fabbisogno alimentare:  cosa  succederà?  Si  negozierà  un  Eea  (European  Economic  Area),  che,  di  fatto,  non  modificherà  lo  status  quo,  se  non  per  il fatto  che  il  Regno  Unito  non avrà più diritto di parola nella definizione della legislazione? Oppure l’Europa deciderà di equiparare il Regno Unito a qualunque altro membro del Wto, soggetto dunque a tassazioni nell’ordine del 30% per lo zucchero, del 20% su tabacco e bevande, del 10% su frutta e verdura? Oppure ancora si sceglierà la linea  morbida  del  patto  bilaterale,  come quello in vigore con la Svizzera, sostanzialmente senza controlli e tariffe? E cosa significheranno le nuove relazioni commerciali lungo la supply chain? Brexit potrebbe portare a una rottura totale  degli  schemi  delle  supply  chain  e  nulla  esclude  che  alcuni  alimenti  possano  essere  reperiti  più facilmente  in  Paesi  Extra  Ue. In  termini  più  tecnici, poi, le incertezze riguardano anche gli aspetti legislativi: potenzialmente, il Regno  Unito  potrebbe  introdurre  propri regolamenti, con il rischio che alcuni  tra  i  principali  produttori  alimentari scelgano la relocation al di fuori del Regno Unito, oppure che decidano per un “downgrade” delle attività britanni che,  dando  maggiore  rilevanza  ad  altri mercati.

Lato Ue, altre preoccupazioni riguardano le certificazioni di qualità o le denominazioni d’origine di alcuni prodotti. Considerate le posizioni che, negli anni, il Regno Unito ha assunto in sede di Commissione Europea, qualche problema potrebbe insorgere.

Sul  fronte  lavorativo,  il  settore  agrolimentare è uno di quelli che nel Regno Unito registra la presenza di lavoratori stranieri, spesso con pochi skill e qualificazioni. Bisognerà rivedere i contratti in essere? In quali termini? Per  quanto  riguarda,  invece,  il  mercato retail, la preoccupazione fondamentale è legata a fattori macroeconomici, in particolare al valore della sterlina.

Altre considerazioni riguardano i piani di espansione di alcuni player in Europa. Ci sarà probabilmente un ripensamento strategico, non solo da parte degli operatori britannici, per i quali l’entrata nei Paesi  Ue  potrebbe  non  essere  più  così  semplice, ma soprattutto per quelli che arrivano  da  OltreOceano  e  che  hanno  spesso  utilizzato  il  Regno  Unito  come  trampolino di lancio verso il resto d’Europa. Un calo di attrattività è da mettere  in  conto, soprattutto  per  chi  rischia  di dover aprire azioni di doppio accreditamento (con la Ue e con Uk) prima di arrivare in Europa.

Altri aspetti più generali riguardano il ruolo  avuto  dall’Europa,  e  di  cui  anche il Regno Unito ha beneficiato, dalla  spinta  per  la  diffusione  della  banda  larga,  alle  azioni  in  materia  di  protezione  dei dati,  alla  promozione  del  digital  single  market,  una  sorta  di  mercato unico online, aperto a tutti i cittadini europei.

L'articolo completo su Mark Up 251

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