Buoni pasto elettronici, filiera da rivedere

Articolo tratto da Mark Up 236 gennaio-febbraio

di Giovanni Cobolli Gigli

Giovanni Cobolli Gigli, presidente Federdistribuzione
Giovanni Cobolli Gigli, presidente Federdistribuzione

Con un loro maggiore utilizzo, secondo alcuni studi, si potrebbe riformare il settore e dare un impulso positivo, ma questo non può essere l’approccio corretto al mercato, perché trascura il problema principale: occorre intervenire sui fattori della filiera che penalizzano gli esercenti. Le cose stanno così. Le gare di appalto della PA e delle altre grandi società a partecipazione pubblica e privata vengono gestite con la logica del “massimo ribasso”, premiando le società emettitrici dei ticket che presentano lo sconto maggiore sul valore facciale del buono, anziché valutare le proposte sul valore reale del servizio. L’applicazione di questi forti sconti spesso mette le società emettitrici nelle condizioni di non ottenere ricavi sufficienti a coprire i costi. Devono così recuperare redditività applicando pesanti commissioni agli esercenti, che erogano il servizio all’utilizzatore finale, i quali vengono gravati di tutti i costi prodotti da un sistema distorto e subiscono ritardi nei pagamenti del valore del buono. Occorre affrontare il tema del riequilibrio dei ruoli nella filiera, con l’obiettivo di mantenere il costo complessivo per gli esercenti al di sotto del 3% del valore del buono e di ampliare la lista degli alimentari acquistabili. La digitalizzazione del sistema potrebbe essere un fatto positivo se accompagnata da una diminuzione delle commissioni, come indicatore di maggiore efficienza e di riduzione dei costi. Altrimenti meglio semplificare tutto mettendo il valore dei buoni pasto direttamente in busta paga, mantenendo la detassazione per i primi 7 euro.

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