“Care Economy”: un’occasione per ripensare i business model delle aziende post Covid

Tra i cluster professionali in crescita, il tema del lavoro di cura è quanto mai all’ordine del giorno e un’opportunità per una nuova e vera organizzazione del lavoro smart

La quarta rivoluzione industriale in corso sta creando domanda per milioni di nuovi posti di lavoro, necessari a rispondere ad una società che anche per via di forti shock (uno su tutti quello della pandemia) sta ridefinendo sempre più velocemente i propri connotati. Tuttavia, al fine di convogliare queste opportunità verso un offerta adeguata, sono urgentemente necessarie approcci innovativi per comprendere la nuova essenza di questi tipi di lavoro calati nel contesto attuale e del prossimo futuro. Interessante a questo proposito il report Jobs of Tomorrow: Mapping Opportunity in the New Economy, presentato durante l’edizione 2020 del World Economic Forum, tenutosi dal 21 al 24 gennaio dello scorso anno a Davos, e redatto sulla base dei dati forniti da Burning Glass Technologies, Linkedin e Coursera. Ancora inconsapevole degli effetti catastrofici della pandemia, il report mette in risalto, sempre nella cornice di rivoluzione tecnologica e l’Industria 4.0, sette cluster professionali, che origineranno tra il 2020 e il 2022 più di 6,1 milioni di nuove opportunità lavorative su scala globale. I sette ambiti professionali in questione sono i seguenti:

  1. Sales, Marketing & Content
  2. Data & Artifical Intelligence
  3. Engineering & Cloud Computing
  4. People & Culture
  5. Product Development
  6. Green Economy
  7. Care Economy
© World Economic Forum (2020)

Solo un anno fa “Green Economy” e “Care Economy” emergevano a sorpresa in questa classifica, e 365 giorni dopo, non si fa fatica a credere che questi due ambiti abbiano davvero conquistato un ruolo fondamentale nelle dinamiche globali del mondo del lavoro. In particolare, in questa sede, soffermandosi brevemente su quello che è l’ambito della “Care Economy”, risaltano alcuni aspetti interessanti che potrebbero spingere le aziende a riflettere sul concetto e le ricadute della “Care Economy” nei loro modelli di business, in un modo del lavoro in forte cambiamento.

Il paradosso del "lavoro di cura"

Sotto l’etichetta “Care Economy” rientra il lavoro di cura e ciò che fa parte dell'economia dell'assistenza, ovvero un insieme di attività legate agli aspetti fisici, emotivi e psicologici dell'assistenza, che si potrebbe ricondurre alle macrocategorie di Sanità e dei Servizi Sociali, come nel caso di assistenza a bambini, anziani e disabili,  attività di intrattenimento extra lavorative legate alla “cura” della persona, ecc. Seppur occupandosi di aspetti fondamentali per garantire il benessere delle comunità tanto da poterlo definire un “bene pubblico”, il lavoro di cura, diretto o indiretto, retribuito o non, a breve (esigenze dei bambini) o lungo termine (assistenza a disabili e anziani) che sia, rimane una componente integrante ma sottovalutata delle economie di tutto il mondo. Vi è, inoltre, da sottolineare come il lavoro di cura, per la sua natura vocazionale e legata a diversi aspetti di dipendenza e vulnerabilità (che riguardano tutti gli esseri umani nella loro esistenza) si rapporta al tema dell'efficienza. Infatti, chi svolge lavori di cura lo fa solitamente perché spinto/a da forti motivazioni intrinseche, piuttosto che da qualsivoglia ambizione di carriera, e ciò fa sì che la remunerazione minima (o il “salario di riserva”) per il quale un lavoratore è disposto a lavorare si abbassi, ponendo in essere qualcosa di paradossale. Si contrae, appunto, il potere di mercato di queste categorie di lavoratori e contribuisce a deprimerne i salari, seppur in termini teorici gli sia attribuito un “alto valore” etico-morale, a cui però corrisponde un mancato riconoscimento economico. Appare, allora, evidente come la stessa motivazione di chi svolge lavori di cura sia condizionata da questo paradosso, impattando sulla produttività del singolo e sulla qualità della prestazione.

La sfida per i leader

Il fatto che la “Care Economy” rientri nei sopraccitati sette cluster professionali fa, tuttavia, riflettere sul fatto che il mondo sta andando verso una maggiore professionalizzazione del lavoro di cura – con determinate aspettative anche per quel riguarda i risvolti economici e salariali. Le istituzioni dovranno monitorare le variazioni socio demografiche, studiarne e anticiparne i trend e capire che impatto potranno avere in termini di Care Economy, dove figure saranno sempre più richieste e con delle competenze sempre più specifiche. Molto da riflettere è ovviamente anche sulla conciliazione tra un “lavoro regolare” e l’onere del lavoro di cura, per chi se li deve sobbarcare entrambi, che è sempre più impegnativo e che dovrebbe essere totalmente ribilanciato. Pandemia e lockdown hanno, infatti, reso quanto mai evidente i nervi scoperti legati alla “Care Economy”. Bambini in DaD da seguire, anziani da assistere senza possibilità di delega, con il lavoro in “Smart working” – che ha ben poco di smart - da portare avanti, sono tra i mille esempi citabili su cui bisogna intervenire per riscoprire quanto la vulnerabilità e dipendenza reciproca – che non è estranea a nessuno  –  possa realmente costituire il collante delle nostre comunità, se ben gestita.

Qui si inserisce un’opportunità per il business: dal proprietario di un piccolo negozio al CEO di una multinazionale, tutti i leader aziendali sono chiamati a ripensare al un nuovo modello di business nel post-Covid-19. Ridisegnare le proprie dinamiche interne tenendo a mente le implicazioni della Care Economy diventa anche opportunità per creare un futuro migliore per i propri dipendenti e come diretta conseguenza anche per clienti (sempre più attenti alla sostenibilità ambientale o sociale che sia).

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