Nuovo indentikit dell’acquirente di carne: limitatamente al segmento della carne bovina, nel 2016 sono stati soprattutto gli over 55 a comprare carne: sebbene le contrazioni dei consumi investano tutti i cluster socio-economici-geografici, la flessione, per questa tipologia di cliente, è stata ‘solo’ di 2 punti. La disaffezione alla carne, si rileva invece in maniera importante fra i giovani (single o coppie) sotto i 35, dove si registra una contrazione del 15% degli acquisti, a volume (Fonte: Assocarni su dati Ismea - Nielsen). Che in Italia, mediamente, si consumi meno carne, è cosa nota. Tanto che la crisi vissuta dal settore negli ultimi anni appare oggi come strutturale. Il che vuol dire che difficilmente si tornerà ai ritmi di crescita del passato. Dato quindi per assodato che il segmento non sta facendo i numeri di un quinquennio fa, nel 2017 non ci sono stati i consumi ‘in caduta libera’ degli anni precedenti. Insomma, per chi vede il bicchiere mezzo pieno, nel mercato si sono cominciati a scorgere i primi timidi segnali di ripresa. Cosa significa? Che nel segmento, a partire dal settore bovino -fra quelli più colpiti dalla crisi degli ultimi anni- sebbene i numeri siano ancora con segno meno, la curva discendente sta addolcendo la traiettoria e ci si sta avviando ad una stabilizzazione del sistema. Un sistema diverso -è inevitabile- in cui gli attori sono diminuiti rispetto a qualche tempo prima. Si è passati attraverso una forte razionalizzazione dell’industria di macellazione, dove le aziende più piccole o non ce l’hanno fatta ad andare avanti o sono state assorbite da quelle più grandi. Conferma François Tomei, presidente di Assocarni: “Gli attori minori stanno uscendo di scena perché gli standard igienico-sanitari sempre più elevati hanno dei costi che non sono in grado di sostenere. I player rimasti sono quelli più capaci di rispondere alle necessità del mercato di oggi e che, verosimilmente, sono destinati a restare anche in futuro”. Nonostante i consumi di carni rosse dimunuiscano, la produzione aumenta. “La ragione? Il consumatore predilige le carni di origine italiana -contuina Tomei-. Tant’è che, nonostante noi siamo sempre stati un grande Paese importatore, si sta registrando una diminuzione proprio dell’import”. Il peggio sembra passato. Contestualmente, anche il battage mediatico di cui il comparto è stato oggetto negli ultimi anni comincia a essere meno vivace. Insomma sarebbe superata la fase acuta, in termini di propaganda negativa, raggiunta nel 2015, dopo l’ormai celeberrima pubblicazione dell’Oms sui presunti legami tra consumi di carni e insorgenze cancerogene. Conferma Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare: “Su questo fronte, sono moderatamente ottimista: non dico che la campagna denigratoria contro la carne non ci sia più, ma certamente si è affievolita”.Piuttosto, il settore deve fare i conti con la pressione del mondo vegano e vegetariano, che ha forte eco sia sui media classici sia sul web. “Il nostro impegno -conclude Tomei- non è tanto quello di contrastare un’informazione viziata o faziosa, quanto quello di seminare un’informazione positiva il più possibile terza, e quindi oggettiva ed imparziale, veicolata da persone con competenze scientifiche, che sappiano spiegare le caratteristiche della carne ed i suoi benefici in termini nutrizionali”. Il consumatore italiano è piuttosto refrattario a farsi condizionare da campagne che demonizzano cibi specifici. Secondo lo studio Censis ‘Mangiare informati: come gli italiani scelgono cibo buono e sano’ di novembre 2016, la maggior parte della popolazione si dichiara infatti contraria a proibizionismi odiktat etici, con un 60% che è convinto che a contare siano, prima di tutto, la qualità (ma anche la varietà) di ciò che si mangia. Dove ‘qualità’, però, è ormai un termine dall’accezione particolarmente ampia: include dal focus sull’origine degli alimenti sino al tema della sostenibilità di filiera. A queste esigenze del cliente, il mercato della carne sta rispondendo positivamente, rinnovando la propria offerta di prodotto, oggi sempre più Made in Italy (ovvero con bestiame non solo allevato, ma anche nato in Italia),
tracciabile. Si registra anche un forte spinta, da parte della produzione, sul fronte del
salutistico con i principali player del comparto carne impegnati a lanciare gamme bio e/o gluten free. L’industria sta lavorando anche alla realizzazione di linee ad alto contenuto di servizio, già pronte da gustare o da servire in tavola o, comunque, facili e veloci da cucinare. Per gli operatori del mercato, è ormai quasi scontato lavorare con filiere controllate, garantite, dalla nascita dell’animale alla sua macellazione. Per tante imprese, da Inalca ad Alcar Uno, il must, per il futuro, starà soprattutto nella tutela massima dell’animal welfare, e nella riduzione sempre maggiore dell’antibiotico, andando a lavorare in sinergia, sul tema, con tutti gli anelli della catena produttiva: dagli allevatori sino al mondo distributivo.Si riesce a raccontare al cliente finale tutto questo lavoro sulla sostenibilità di filiera e, più in generale, sui plus delle proprie produzioni? Non quanto si vorrebbe. Tra gli scaffali della gdo, i tagli di carne presentati appaiono tendenzialmente tutti uguali agli occhi del consumatore. “Stiamo lavorando per valorizzare la qualità del prodotto anche sul punto di vendita -segnalano da Assocarni -. Per farlo cercheremo di avvicinare le persone al ciclo produttivo della carne, e quindi alla filiera zootecnica, attraverso inziative ad hoc nelle quali apriremo le porte degli allevamenti, mostrandoli ai consumatori”. In attesa che progetti di questo tipo prendano forma, per ora le informazioni sulla tipologia di carne, instore, continuano ad essere trasmesse al cliente principalmente attraverso l’etichetta posta sulla confezione. “E per chi non ha un marchio noto, è molto più difficile essere riconosciuti dal cliente -ammette Lorenzo Levoni, direttore vendite di Alcar Uno-. In questo senso, la mia ambizione è che il segmento del suino, che io rappresento, possa unire le forze, in modo da proporsi al consumatore con un brand comune, facilmente identificabile. Un brand unico ci avvantaggerebbe in modo particolare sui mercati esteri, in considerazione del gradimento che il Made in Italy esercita presso i consumatori stranieri”. Sulla scia dei trend dominanti del biologico e del benessere, il gruppo Frinsa, il cui core business è il segmento del tonno in scatola, dalla metà del 2016 è entrato in gdo anche con una gamma di carni bianche in scatola, a marchio Ribeira. L’obiettivo è quello di differenziare e ampliare l’offerta con carne di pollo e tacchino in scatola. Una proposta che guarda ai nuovi consumatori: grazie alla cottura a vapore della materia prima, infatti, le referenze preservano inalterate la qualità e la leggerezza degli alimenti. La linea si colloca nella fascia media di prezzo: attualmente ha conquistato spazi interessanti soprattutto nel canale discount. L’intento del gruppo è quello di aumentare la penetrazione anche sugli altri canali di vendita, in primis ipermercati e supermercati”.
Carne: concentrato, ma il comparto ora è più forte
Il segmento si sta riorganizzando. Sulla scena restano i player con le spalle più larghe e in grado di soddisfare le esigenze di consumo del cliente contemporaneo. (da mark Up n. 263)