Case History: Bofrost, un piano per affrontare la pandemia

Un sistema duale in stile Toyota in grado di rimpiazzare le squadre di lavoro in caso di contagio che, fortunatamente non è avvenuto. E molto altro.

La storia di Bofrost Italia, colosso della vendita diretta di surgelati, inizia nel 1987 quando l’imprenditore Edoardo Roncadin ebbe l’intuizione di esportare in Italia il modello sperimentato dalla tedesca Bofrost. Trentatré anni di esperienza, più di 2.400 dipendenti, ed un catalogo che supera le 450 referenze. Questi i numeri che contraddistinguono l’azienda che ha sede a San Vito al Tagliamento (Pordenone) e che è conosciuta (e riconosciuta) in tutta Italia per i caratteristici furgoncini e conta più di un milione di famiglie clienti.

Gianluca Tesolin amministratore delegato Bofrost Italia S.p.A

Gianluca Tesolin è l’amministratore delegato di bofrost* Italia S.p.A. La nostra intervista parte dall’effetto più visibile dell’emergenza Covid: l’impatto sulla domanda
Nel breve termine l’azienda ha dovuto rispondere ad una domanda che è cresciuta in modo esponenziale in tutti i canali di vendita: quello diretto (il furgone che arriva a casa per intenderci), il tele-selling e il canale internet. Anche se i casi sono diversi. Il canale del tele-selling che da circa 10 anni si trovava in progressivo ma costante declino, ha vissuto un incremento significativo nel volume delle vendite. Il canale internet è passato da una situazione di sostanziale marginalità a generare volumi di vendita per diverse decine di migliaia di euro giornalieri. Questo perché a fianco di un cliente già consolidato che ha aumentato i volumi di acquisto, si sono affacciati nuovi segmenti, demograficamente più giovani e pertanto maggiormente propensi ad acquistare on-line. Qualcuno potrebbe dire che sia stato facile. Che si sia trattato “solamente” di inseguire una domanda che improvvisamente stava esplodendo ma non è così. Il nostro settore lavora in filiere estremamente controllate e soprattutto condizionate da quella che è la disponibilità delle materie prime (vegetali, ittiche, carne…). La vera sfida per noi è stata quella di riallineare la supply chain ai processi interni a fronte di un mercato che aveva iniziato a correre, in una situazione di potenziale improvvisa chiusura dell’intero stabilimento causa il pericolo contagio e a partire da una struttura organizzativa e da un reparto commerciale che sono rimasti sostanzialmente invariati. Almeno nelle prime settimane.

Quindi avete rivisto le catene di fornitura e siete andati a caccia di nuovi fornitori?
Questo non è fattibile nel nostro settore. Le filiere sono rigide e molto controllate. La certificazione del nuovo fornitore e l’allineamento dei processi logistico-produttivi richiedono molto tempo. Quello che abbiamo fatto è lavorare sui fornitori di primo livello più affidabili, abbiamo rivisto, perfezionato e ove possibile semplificato le procedure e le attività di integrazione al fine di accorciare i lead-time ed incrementare pertanto i volumi in ingresso a parità di personale aziendale e di spazio di magazzino.
Fatto questo ci siamo chiesti: e se il meccanismo che mettiamo in piedi dovesse incepparsi a causa di un focolaio interno? Ed è qui che abbiamo iniziato ad agire pesantemente a livello organizzativo creando squadre di lavoro miste, composte in parte da personale esperto e in parte da nuovo personale assunto per l’occasione in grado di lavorare in parallelo negli stessi canali di fornitura. Se un focolaio fosse esploso all’interno di una squadra, ci sarebbe stata l’altra a mandare avanti il lavoro. Un sistema duale in stile Toyota per capirci. Per fortuna non è scoppiato nessun focolaio. Ma questo perché abbiamo anticipato tutti i protocolli nazionali.

In che modo?
A fine febbraio 2020 abbiamo creato una unità di crisi ed il piano di recovery. Poi, mentre il Paese doveva ancora entrare in lockdown, abbiamo iniziato ad applicare severe procedure di prevenzione, incluso l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale ed il distanziamento di sicurezza. Ma la vera sfida è stata formare e dotare di dispositivi e procedure tutto il personale di contatto. Quello che arriva nelle nostre case con il furgone per intenderci. Questo è stato possibile attraverso l’emanazione di protocolli interni molto severi diramati top-down rapidamente. Ancora prima del lockdown i nostri venditori già si presentavano al cancello dei clienti dotati di mascherina, guanti ed igienizzante. Con un impatto inizialmente non favorevole. Dato che il resto del paese non stava ancora seguendo le stesse regole, è capitato che i nostri autisti mettessero involontariamente a disagio i clienti. Alcuni infatti pensavano che gli autisti fossero bardati a quel modo perché malati! D’altra parte, per noi la sicurezza del cliente è stata fin da subito un elemento imprescindibile. Pensateci: quale altro amico o parente entra in casa vostra 24 volte all’anno? Probabilmente solo un parente stretto e … Bofrost!

Innovazione organizzativa a parte, questa situazione vi ha dato ulteriori spunti per innovare il vostro modello di offerta? Ad esempio in relazione al portafoglio prodotti.
Ad Autunno del 2019 siamo partiti affiancando al surgelato una prima referenza fresca: la mozzarella di bufala campana DOP. Questo ci ha consentito di metterci alla prova e di capire se fossimo in grado di gestire anche una logistica del fresco, a fianco di quella del surgelato. Una logistica che ha logiche assai diverse in termini di shelf-life e pertanto di lead-time dalla produzione al consumo. Visto l’elevato successo del primo periodo, durante il lockdown abbiamo aggiunto progressivamente altre referenze fresche (salumi, uova tra gli altri) con altrettanto successo azzerando la consegna di referenze “no-food” (stoviglie, pentolame). Il posizionamento di questi prodotti è alto ma sono le stesse caratteristiche dei prodotti a suggerirlo e in qualche modo ad “imporlo”: prodotti freschissimi, biologici, antibiotic free, consegnati a casa anche 1 giorno dopo la produzione. Una rapidità di risposta difficilmente eguagliabile nei canali di distribuzione tradizionali.

Insomma, siete diventati un’azienda di logistica…
Beh in parte si, anche se il rapporto con il cliente è sempre alla base. E nel farlo abbiamo cercato di imparare dal migliore sul campo: Amazon. Lavorare nel fresco ci ha messo di fronte alla necessità di operare delle consegne veloci e pertanto a confrontarci con il modus operandi di Amazon. Questo perché pur non essendo un concorrente, Amazon è l’azienda che sta dettando le regole della customer experience per tutti gli operatori che vendono on-line (e telefonicamente) per poi consegnare a casa. Qualsiasi consegna successiva alle 48 ore diventa potenzialmente “lunga” nella percezione del cliente.

Un cliente che, nel frattempo, è in parte cambiato…
Si, negli ultimi anni ci siamo accorti che il cliente è cambiato in maniera importante: nelle abitudini di acquisto, nelle aspettative sul prodotto, nelle richieste e nelle domande che ci pone. Questo ci ha spinto a lavorare con maggiore profondità sulla segmentazione della clientela in modo da garantire a ciascun cliente la miglior esperienza di acquisto rispetto alle sue attese attraverso un servizio customizzato. Oggi ogni venditore prima di visitare il cliente può studiarsi il profilo dello stesso. Il sistema gli fornisce anche delle proposte di vendita basate su consumi passati o sulle preferenze espresse da consumatori simili. Un po’ come fa Netflix con le serie televisive. Il sistema aggiorna continuamente le diverse personas aiutandoci pertanto ad offrire sempre più un servizio personalizzato sulla base delle necessità dei clienti. D’altra parte, anche il nostro parco venditori si è ringiovanito. I venditori più giovani sono bravissimi dal punto digitale ma magari meno bravi dal punto di vista relazionale. E il nostro lavoro è e rimane fondamentalmente un lavoro di relazione. Anche per questo, oltre a fornire delle informazioni precise su ciascun cliente, con i più giovani abbiamo iniziato a lavorare sulla customer journey al fine di insegnare loro come garantire a ciascun cliente un’esperienza di acquisto semplice, rapida ma soddisfacente.

La lezione manageriale che ci insegna Bofrost. Anzi, le lezioni…
Da dove vogliamo cominciare? Leggendo questo caso vi siete resi conto che stavamo parlando di un’azienda di surgelati alimentari? E cosa centrano allora Amazon e Netflix? Centrano eccome. Perché gli standard di consegna (Amazon) o la struttura e la funzionalità di recommendation system (Netflix) ve lo possono imporre loro, anche se voi per mestiere vendete surgelati e loro no. Anche i marketing manager troveranno molti spunti in questo caso. La pianificazione (e pertanto centralizzazione) della customer journey consente di mantenere un servizio percepito di elevato standard anche quando le tue key resource (la generazione dei venditori affabili, attenti, chiacchieroni, amici) viene meno. Diciamoci la verità: quando è stata l’ultima volta che avete trovato un/a commessa simpatico/a in quella catena di abbigliamento (non la nomino per non andare incontro a problemi legali) nella quale continuate però a rifornirvi periodicamente? E allora perché lo fate? Perché trovate i prodotti “per voi” ad un prezzo “accessibile” e l’esperienza di consumo è semplice e lineare. E siamo ancora di fronte a procedure e processi “importati” da settori molto distanti. Infine, diamo uno sguardo ai cambiamenti strategici (linee di prodotto) ed organizzativi (team paralleli) implementati durante il lockdown. Lancio una proposta provocatoria: smettiamo di chiamare queste cose “innovazione”. Perché quando l’innovazione non è più episodica ma continua e soprattutto pronta a rimettersi in discussione in qualsiasi momento va chiamata con un altro nome: agilità. Agilità strategica ed organizzativa. Un nuovo paradigma a cui dobbiamo abituarci e che sta letteralmente buttando a mare decine e decine di anni di letteratura manageriale ed organizzativa. Volete saperne di più? Iniziate dagli ultimi due libri di Rita McGrath “The end of competitive advantage” e “Seeing around corners”. Già i titoli dicono tutto, no? Tranquilli, sono libri scritti per voi manager, non sono libri accademici. Questi vi terranno svegli!

(*)
Grazia Garlatti Costa (PhD student, Università degli Studi di Udine)
Guido Bortoluzzi (Professore Associato di Innovation Management, Università degli Studi di Trieste)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome