Chiusure domenicali dei negozi: a rischio 150.000 posti di lavoro

Dalle 4 proposte di legge, l’Istituto Cattaneo delinea gli scenari conseguenti: nel peggiore dei casi impatto di -9,4 mld di euro sul Pil

È la stima relativa al "worst scenario" previsto dallo studio dell'Istituto Cattaneo di Bologna, realizzato da Maurizio Morini: potrebbe quantificarsi in un massimo di 150.000 addetti la riduzione potenziale di posti di lavoro generata dall'applicazione di una legge che preveda la chiusura domenicale e festiva dei negozi se passasse la proposta del Movimento 5 Stelle, e cioè considerando 45 giornate di chiusura per esercizio. "Secondo le nostre stime -commenta Maurizio Morini, ricercatore e autore dello studio intitolato Innovazione distributiva e azione politica: l'impatto potenziale delle chiusure domenicali sul settore distribuzione moda e sullo shopping tourism in Italia- questa ipotesi porterebbe a una riduzione potenziale di 148.000 posti di lavoro e un impatto negativo sul Pil pari a 9,4 miliardi di euro. Di questi riteniamo plausibile un recupero di 5,4 miliardi di euro, concentrato per circa 1,4 miliardi sull'eCommerce e 4 miliardi in termini di spesa nelle altre giornate della settimana".

Le 4 proposte

La ricerca dell'Istituto Cattaneo elabora le sue stime e gli scenari (dal best al worst scenario) sulla base delle 4 principali proposte di legge giacenti in Commissione, la quarta delle quali è un tentativo di sintesi delle prime 3. Vediamole un attimo, in estrema sintesi: i pentastellati ipotizzano aperture domenicali per un max del 25% delle domeniche e dei giorni festivi indicati (12), per un totale potenziale di 64 giornate e quindi apertura per ogni esercizio di 16 giornate a rotazione massimo.

La proposta della Lega prevede una chiusura per 12 giornate festive, mentre secondo quella targata Pd, sempre sulla base delle 12 giornate indicate, l'esercente può derogare per 6 volte, quindi con l'obbligo di 6 chiusure in corso d'anno (e 54 aperture).

Il testo unificato (mediazione delle tre proposte che abbiamo visto) contempla chiusure per 12 giornate festive definite (con possibilità di deroga per un massimo di 4 volte), chiusure domenicali con possibilità di deroga da un massimo di 8 a un massimo di 26 volte su 52 domeniche complessive.

Lo scenario

Il testo unificato, considerando l'ipotesi di deroga massima di 30 giornate (4 festivi e 26 domeniche) porterebbe a una riduzione stimata di 94.000 posti di lavoro e un impatto negativo sul Pil pari a 6 miliardi di euro. "Riteniamo possibile -aggiunge Morini- un recupero di 3,5 miliardi di euro di cui 1 miliardo in termini di sviluppo eCommerce e 2,5 miliardi con spesa nelle altre giornate della settimana e nelle giornate domenicali/festive di apertura".

Ricordiamo e ripetiamo che il "testo unificato" (la mediazione delle proposte sul tavolo della Commissione) prevede chiusure per 12 giornate festive definite (con possibilità di deroga per un massimo di 4 volte), e chiusura domenicale con possibilità di deroga da un massimo di 8 a un massimo di 26 volte su 52 domeniche.

Ripercorrendo le pagine dello studio (che potete scaricare dal sito dell'Istituto) la proposta leghista prevede la chiusura per 12 giornate all’anno con perdita potenziale di 33.000 occupati e 2 miliardi di Pil, mentre quella targata Pd, con 12 giornate di chiusura e 6 deroghe, limiterebbe le perdite rispettivamente a 15.000 occupati e a 960 milioni di impatto negativo sul Pil.

Domenica ti porterò a comprare

Quasi 20 milioni di famiglie (19,5 milioni per l'esattezza) fanno acquisti la domenica. Per quasi il 60% di esse lo shopping festivo è una prassi consolidata. La domenica è il secondo miglior giorno per fatturatodopo il sabato, e sono circa 580.000 i lavoratori del commercio che prestano servizio in questo giorno.

"Ridurre le aperture domenicali avrebbe impatti negativi anche sulla contabilità dello Stato, che perderebbe dal miliardo e mezzo ai due miliardi all’anno in gettito fiscale -commenta Maurizio Morini-. Anche la psicologia economica globale subirebbe l’influenza negativa delle chiusure domenicali, che inibirebbero la propensione all’investimento da parte di gruppi che operano principalmente in alcuni ambiti settoriali (come alcune catene di ristorazione). E dubbio è anche l’effetto anti desertificazione dei centri storici, dinamica sulla quale alcune proposte – Lega e M5S- dichiarano esplicitamente di voler intervenire".

A febbraio 2019 le vendite al dettaglio sono aumentate su base congiunturale di soli 10 bp (+0,1% in valore) ma diminuite di altrettanti bp  in volume.  Su base annua le vendite aumentano ma sotto l'1%: +0,9% in valore e +0,3% in volume. Nel frattempo Istat registra una nuova impennata a febbraio delle vendite online, che nello stesso periodo  balzano con un +17,5% rispetto a febbraio 2018.

1 lavoratore dipendente su 5 timbra la domenica

Secondo dati 2016 dell'Ufficio Studi di Cgia, in Italia 4,7 milioni di persone in Italia lavorano la domenica: più di 3,4 milioni sono dipendenti e 1,3 autonomi. Il settore con maggiore impiego di lavoratori domenicali è quello degli alberghi e dei ristoranti: 688.300 lavoratori dipendenti. Seguono la sanità-istruzione (686.300) il commercio (579.000 occupati), la pubblica amministrazione (329.000) e l'industria (329.300), e i trasporti (215.600).  Il commercio si piazza al secondo posto in assoluto perché vi si trova il 29,6% di tutti i lavoratori dipendenti che prestano servizio la domenica

L'Italia è ampiamente sotto la media europea in materia di lavoro domenicale (fonte: Cgia Mestre News, 10 settembre 2018), e oltretutto in 16 dei 28 Stati membri dell'Ue non è presente alcuna limitazione di orario o di apertura domenicale. Se la media europea (Ue 28) è 23,2%, l'Italia è in fondo alla classifica (19°) con il 19,5% di lavoratori domenicali sul totale dipendenti, e precede Austria, Belgio, Francia, Lituania.

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