“Cittadinanza alimentare” per superare il paradosso del sistema attuale

Il modello di sistema alimentare comunitario si distingue dal modello convenzionale centralizzando l'accesso al cibo, la riduzione dell'impatto ecologico e la sostenibilità ambientale e sociale

Le disuguaglianze alimentari rappresentano un tema, che esacerbato dagli effetti  della pandemia, non può proprio più essere trascurato. Secondo dati FAO, nel mondo 821 milioni di persone soffrono per la carenza di cibo (una persona su otto). Al contrario, 2.1 miliardi di persone sono obese o in sovrappeso (una persona su quattro). Per di più, il 14% di tutto quello che viene prodotto a livello globale viene sprecato già in fase di trasporto, perché spesso gli strumenti e le modalità di conservazione sono inadeguate. Questo dato, se rapportato al fenomeno della povertà alimentare che sta coinvolgendo fasce di popolazione prima a ciò del tutto estranee, è alquanto allarmante. Tutto ciò fa emergere con chiarezza il carattere paradossale di tutta la questione food. Il "paradosso alimentare", quindi, si impone per tre ordini di motivi:

  • una parte del pianeta è sovranutrito e soffre di problemi legati all'abuso alimentare, mentre l'altra metà è denutrito e la mancanza di cibo comporta malattie e morte;
  • le risorse naturali e alimentari vengono indirizzate ad attività e soggetti altri rispetto al fabbisogno dell'uomo (ad esempio, alla produzione di biocarburanti e al mangime per il bestiame);
  • la vergogna dello spreco alimentare, con la mala gestione a partire dalla gestione delle eccedenze alimentari.

In questo panorama, la buona notizia è che la conoscenza e consapevolezza relativa a queste dinamiche sta fortunatamente crescendo. Di fatti, negli ultimi anni sono emersi nuovi tipi di cooperazioni consumatore-produttore nelle reti alimentari in cui i consumatori svolgono un ruolo attivo, andando oltre l'approvvigionamento alimentare in quanto tale. Gli esempi includono cooperative di consumatori e gruppi di acquisto solidale di cibo locale e biologico, agricoltura sostenuta dalla comunità e iniziative di giardinaggio urbano collettivo.

Queste iniziative sollevano nuove importanti questioni che includono concetti come "reti alimentari alternative", "filiere alimentari corte" o "sistemi alimentari locali". Il punto di contatto tra tutti questi concetti è quello della presenza imprescindibile di una dimensione civica, che vuole unire pratiche alimentari e mercato, dando origine di fatto ad una “cittadinanza alimentare” (Food Citizenship).

Il concetto di cittadinanza alimentare, nella pratica, aiuta a definire e identificare il grado di coinvolgimento degli attori all’interno della filiera, condividendo degli obiettivi, e  ricercando e applicando specifici modelli di governance. Lo scopo alla base di ciò è riavvicinare produttori e consumatori, per trasformare le persone da passivi consumatori a cittadini attivi.

Tutto questo permette di parlare di "Community Food System", un modello già da anni al centro del dibattito statunitense sulle questioni alimentari. Kami Pothukuchi, ricercatrice e professoressa presso la Wayne State University, sostiene come i "Community Food System", a fronte di un livello di azione spaziale più ridotto, promuovano una maggiore connessione sul territorio delle attività di produzione, trasformazione e consumo di cibo (vendita diretta prodotti agricoli, sviluppo forme di coltivazione urbana, rapporto diretto con aziende – spesso PMI – di trasformazione del cibo, aumento di informazione ai consumatori sui prodotti alimentari ecc.).

Inoltre, un tale sistema alimentare comunitario si distingue dal modello convenzionale perché considera l'importanza dell'accesso al cibo, della riduzione dell'impatto ecologico della produzione e distribuzione dei prodotti alimentari e della sostenibilità del sistema alimentare, intesa in senso sia ambientale che sociale.

In questa dialettica, le aziende devono anch’esse porsi con un approccio innovativo. L’asso vincente, figlio di questo tempo, è sicuramente quello tecnologico. Ecco, allora, che “Smart Collaboration”, di concerto con il ricorso a tecnologie esponenziali, e infrastrutture di rete moderne e adatte a questi scopi diventano essenziali. In particolare, la “Smart Collaboration” può davvero essere un assist per le aziende per portare sul campo la loro sensibilità sulle tematiche in oggetto, con una modalità virtuosa per ambiente, stakeholder e collettività, mettendo in campo vere azioni imprenditoriali AgriTech e Food Tech. È chiaro che la sfida sarà quella di conciliare sostenibilità, visione e redditività; ribadendo però che il passaggio obbligato è quello dell’innovazione che passi da imprese capaci di trovare nuovi meccanismi di relazione in una logica di co-creazione e partnership.

Nel fare ciò, le imprese dovranno tenere a mente di avere sempre più a che fare con un consumatore‐cittadino il quale, attraverso le proprie scelte di acquisto, è proprio un attore protagonista del cambiamento sociale da coinvolgere. Di fatti, la “scelta di consumo” contiene in sé un potenziale politico e trasformativo che impatta sulla sostenibilità alimentare, ed è una delle espressioni della sopraccitata cittadinanza alimentare, a cui si deve ricorrere per dare valore a tutte le declinazioni che le competono.

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