Clausole di salvaguardia: cattiva pratica

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n.264)

Dispiace dirlo, ma ai problemi strutturali della nostra economia, eredità del passato, se n’è aggiunto uno di formazione recente che, nonostante la mutevolezza della sua natura legislativa, rischia di incancrenirsi e di diventare parte stabile del contesto penalizzante dentro e contro cui lottano le imprese italiane.Mi riferisco alle cosiddette clausole di salvaguardia (dei conti pubblici, non dei cittadini). Il Governo attuale ha appena disinnescato gli aumenti Iva per il 2018. Il prossimo, che si insedierà tra maggio e luglio, avrà immediatamente l’onere di evitare 7,4 miliardi di euro di aumento di imposte indirette per il primo gennaio 2019 e altri 12 per il 2020 (che si sommano ai 7,4 del 2018). È evidente come queste eredità, ormai ricorrenti, riducano gli spazi di manovra per la politica e per gli esecutivi che ne sono l’espressione democratica. Non si tratta più, dunque, di stabilire se, quando o di quanto aumenteranno certe imposte. Il problema è più grave e radicato: consiste proprio nella riduzione degli spazi di agibilità dell’azione pubblica. Bisogna disinnescare non solo le clausole, ma la consuetudine di prospettarle e di iscriverle nel bilancio pubblico a legislazione vigente. La soluzione è semplice: si passi definitivamente ed esclusivamente a garanzie del tipo “spesa contro spesa”: e mai più tasse (da aumentare) contro spesa (da ridurre).In questo modo le clausole stimoleranno la negoziazione e il compromesso parlamentare, mediato dal Governo, su dove tagliare la spesa pubblica. Sarà un processo efficace perché obbligato, in quanto mancherebbe la via di uscita a scapito dei cittadini: l’aumento di imposte, appunto.

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