Come la sostenibilità si riflette sui comportamenti d’acquisto

Uno studio di Brand Finance evidenzia quali sono le ricadute della sostenibilità nelle scelte concrete dei consumatori (da MArk Up 319)

Sostenibilità è una delle parole che maggiormente ricorre nei discorsi sociali. L’attenzione che le aziende prestano alle risorse rappresenta oggi un elemento chiave per i consumatori che può impattare in maniera decisiva sulla reputazione di un brand. Un esempio emblematico è costituito da Patagonia, nota marca di abbigliamento sportivo, che ha fatto della sostenibilità il proprio tratto caratterizzante grazie a una serie di iniziative. Ultima in ordine di tempo: la cessione da parte del fondatore, l’americano Yvon Chouinard, del 98% delle quote a un’organizzazione no profit, Holdfast collective, che riceve sotto forma di dividendi gli extra profitti e li reinveste per combattere la crisi ambientale, proteggere la natura e la biodiversità. Il restante 2% (incluse tutte le azioni con diritto di voto) sono, invece, state destinate a una neo-costituita fondazione, Patagonia Purpose Trust, che garantisce la continuità nelle linee strategiche. Ma come l’immagine di un brand si riflette sui comportamenti di acquisto? Quali sono le ricadute sulle scelte dei consumatori? Una risposta arriva dai dati contenuti nell’ultima edizione del Sustainability Perception Index 500. Lo studio, realizzato dalla società di consulenza Brand Finance, verifica il valore generato dalla sostenibilità percepita per i principali brand del mondo. Sono state prese in considerazione 500 marche attive in svariate categorie merceologiche basate principalmente in Europa, Stati Uniti e Asia. La ricerca si fonda su un campione costituito da oltre 100mila persone, dislocate in 36 Paesi, alle quali è stato sottoposto un questionario su una lista di brand. Per ciascuna è stata chiesta una valutazione relativa a vari fattori, tra i quali la sostenibilità nelle sue specifiche declinazioni. L’analisi mostra come il suo peso nelle scelte di acquisto non sia omogeneo. Risulta molto elevato in alcune industries, come il comparto delle auto di lusso, delle bibite e della cosmetica, mentre impatta in maniera meno rilevante nelle scelte delle banche, dell’abbigliamento, del turismo e del software & hardware. Come si spiega questa differenza? Si possono individuare due ordini di motivazioni. Da un lato, pesa la comunicazione portata avanti dalle aziende del settore. D’esempio il caso della cosmetica e del personal care che, da tempo, “spingono” sul tema della naturalità delle formulazioni e dei processi. Dall’altro lato, conta il tipo e la frequenza del “contatto” che si ha con il prodotto: quanto più è diretto e, in qualche misura, intimo, tanto più la sostenibilità diventa discriminante. Insomma, è più importante che sia sostenibile il caffè che si ingerisce quotidianamente o la crema che ci si spalma sul viso la mattina rispetto alla banca a cui è stata affidata la gestione del conto corrente. Molto interessante appare il caso dell’automotive. Qui emerge una netta differenza tra l’alto di gamma, dove la sostenibilità condiziona il customer journey e gioca un ruolo essenziale nel processo di scelta, e la fascia media, che non ne risulta condizionata in termini così decisivi. Di fatto, nel primo caso la sustainability rappresenta quasi il 23% tra i driver considerati in fase di acquisto, mentre nel secondo non va oltre al 9,4%. Particolarmente degno di nota è il caso di Tesla, per la quale l’attenzione agli Esg arriva addirittura al 27%. Ciò vuol dire che, per il brand pioniere del mercato dell’auto elettrica, la sostenibilità percepita non è solo una componente rilevante di immagine, ma è anche un elemento trainante di performance.

Maggiore valore assoluto

Quali sono, in base allo studio di Brand Finance, le marche che generano maggiore valore assoluto grazie all’attenzione percepita dai consumatori nei confronti della sostenibilità? Come detto, lo score di Tesla è elevato, tanto da porla al secondo posto della classifica. Ma l’azienda di Elon Musk è superata da Amazon, che si colloca sul gradino più alto. Con un valore pari a 19,9 miliardi di dollari, il gigante dell’eCommerce è la marca che genera maggiore valore assoluto grazie alla sostenibilità percepita dai consumatori. Tale cifra è stata calcolata tenendo conto che l’attenzione alla sostenibilità pesa quasi il 7% tra i fattori che guidano i clienti alla scelta di Amazon. Si tratta di una percentuale non molto elevata, ma comunque più significativa rispetto alla media dei retailer non alimentari, dove la sostenibilità rappresenta poco più del 6% tra i fattori che orientano lo shopping. Il messaggio è chiaro: quando si tratta di decidere dove comperare i prodotti non food, prevalgono altri criteri quali il rapporto tra qualità e prezzo, l’ampiezza dell’offerta, il servizio o la facilità di interazione, che incidono nel complesso per il 60%.
Dall’analisi emerge che l’attenzione alla sostenibilità per Amazon ha un peso relativamente basso nella generazione di business -sottolinea Massimo Pizzo, managing director Italia di Brand Finance-; d’altra parte è comunque importante per Amazon mantenere alto il livello di attenzione su questo aspetto. In caso di crisi generata dalla sostenibilità, il danno reputazionale potrebbe ridurre sensibilmente i quasi 20 miliardi di dollari di valore di impresa attualmente originati da qui”. Sul terzo gradino del podio, c’è un altro big player statunitense: Apple, che evidenzia un valore assoluto connesso alla sostenibilità percepita pari a 14,7 miliardi di dollari. Lo tallona, con 14,6 miliardi di dollari, Google, seguito a distanza da Microsoft, che si attesta a 9 miliardi di dollari. Per trovare una marca che non sia made in Usa bisogna arrivare al sesto posto, dove si posiziona l’app cinese di messaggistica WeChat, con un valore di 8,4 miliardi di dollari. Sul settimo gradino c’è la casa automobilistica tedesca Porsche (8,1 miliardi di dollari) e, quindi, altre due realtà cinesi: il social media TikTok (8 miliardi di dollari) e la società di utilities State Grid (7,4 miliardi di dollari). La top ten si chiude con Mercedes, il cui valore assoluto connesso alla sostenibilità percepita si attesta a 6,5 miliardi di dollari.

I brand italiani

La posizione migliore è ottenuta da Ferrari, che si colloca al 77° posto, con un valore di poco superiore a 1,7 miliardi di dollari. È un risultato che si deve all’impegno profuso dalla casa di Maranello in ottica green, come dimostra il progetto di divenire completamente carbon neutral entro il 2030. Ma il cavallino rampante non è l’unico marchio italiano a comparire nella classifica. Ci sono anche grandi nomi dei servizi, come Enel (124° posto) e Poste Italiane (306°), e le griffe di moda, come Prada (441° posto). Senza dimenticare i retailer della gdo: da Conad (216°) a Coop (363°) sino ad arrivare a Esselunga (435°). Va sottolineato che questi dati riguardano il contesto globale. Le performance possono cambiare quando si considera una specifica area geografica. Così, per esempio, il brand cosmetico The Body Shop registra uno score mediamente più alto nel Paese di provenienza, vale a dire Uk. Il motivo è semplice: qui l’identità della marca, che è stata pioniera nel mondo del natural beauty, è più chiara in quanto è stata veicolata attraverso svariati touch point. Nel Regno Unito svetta anche Lush, che ha seguito un modello analogo a quello di The Body Shop, pur declinandolo in uno stile di comunicazione più divertente e coinvolgente. Lo stesso discorso vale per Yves Rocher e La Roche-Posay in Francia e per Natura in Brasile. Quest’ultimo, in particolare, si segnala per essere stato il primo beauty brand del Paese ad aver proposto packaging ricaricabili e avere lanciato un programma di investimento mirato a sostenere il territorio dell’Amazzonia. Rilevante il caso di Tata Group. La conglomerata, che ha sede a Mumbai (India) ed è attiva in svariati settori, registra nel Paese d’origine uno score superiore a quello ottenuto a livello globale. Da anni l’azienda ha posto l’impegno verso l’ambiente al centro della propria strategia, avviando una collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation per diffondere i princìpi di circolarità, ridefinendo i processi produttivi per ottimizzare l’impiego delle risorse. In parallelo è molto attiva sul piano sociale e ha sviluppato iniziative di empowerment con le comunità locali. Tata, che oggi è al 49° posto della classifica globale, potrebbe, nei prossimi anni, migliorare il proprio ranking grazie alla comunicazione, al di fuori dei confini nazionali, delle azioni intraprese.

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