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Un concetto accomuna destra e sinistra: la necessità di rilanciare i consumi. La pressione psicologica della crisi e la ricerca del consenso politico relegano la critica al consumismo a poche frange minoritarie.
Se crescessero i consumi, si pensa, aumenterebbe la produzione e dunque i posti di lavoro. È la logica del moltiplicatore teorizzato da Richard Kahn nel 1931 e resa celebre da J.M. Keynes. Purtroppo Milton Friedman ha dimostrato che una crescita facile fondata sull'indebitamento dello Stato non è più possibile. In breve: non esiste “un pranzo gratis”. Qualcuno, prima o poi, lo paga. Rilanciare i consumi, dunque? Certo, ma quali? Come? In quanto tempo?
Le ricette non mancano e le più gradite sono quelle politicamente più corrette. Intrise di buoni sentimenti, ogni settore ne ha una: sostenere l'agricoltura, l'auto, il largo consumo ecc.
L'economia, “scienza triste”che disattende i sentimenti morali, dice che i facili rimedi (sussidi alle famiglie, asili, cultura ecc.) per favorire l'occupazione femminile o giovanile non sono panacee.
Disomogeneità dei consumi
L'epoca di Keynes è passata. Allora si asseriva (con molta approssimazione) che esistessero stili di vita simili legati ai bisogni primari. Aggregando i consumi indotti dalla spesa pubblica scaturiva l'effetto moltiplicatore. Oggi le spese per beni e servizi sono disomogenee e mostrano diversi gradi di elasticità al prezzo e al reddito. Volerle indirizzare è come dare un calcio a un alveare e indovinare la traiettoria dello sciame d'api. È arcinoto che se cala del 10% il reddito disponibile, il consumo di patate, di farina o di zucchero resta stabile.
Al contrario, diminuiscono più che proporzionalmente viaggi all'estero, acquisti per gioielli e uscite al ristorante. Anche gli stili di consumo sono disomogenei. Una famiglia italiana immigrata di recente risparmia tantissimo (come i nostri padri negli anni '50). Le odiate classi medio-alte rispondono, invece, al “keeping up with the Joneses” e risparmiano sempre meno: insomma sono più spendaccione.
Donde l'eterogeneità del moltiplicatore a livello micro-economico. Aggiungiamo che le tante voci non sono egualmente “labor intensive”. Se si spende il reddito in caffè tostato si ripagherà molto il capitale investito e poco il lavoro. Se si va dalla parrucchiera che, a sua volta, lo spende in un ristorante il cui proprietario se lo gioca al casinò si pagherà molto lavoro e poco capitale. Nei due casi l'effetto sull'occupazione e sul reddito prodotto sarà diverso per entità e velocità di reazione.
Se i consumi reagiscono, oltre che ai loro prezzi relativi (funzione del progresso tecnico, del sistema commerciale, delle abitudini di consumo ecc.), al reddito disponibile delle famiglie; se quelli maggiormente sacrificati dalla crisi hanno un'elasticità maggiore di 1 e sono definiti lussuosi, voluttuari, superiori (viaggi, vacanze, ristoranti, gioielli ecc.); se questo è vero, allora sono le spese voluttuarie che attivano maggiormente la domanda finale e creano reddito aggiuntivo. Non a caso nei paesi emergenti (Brasile, Cina, India) questi consumi vengono incoraggiati dai governi.
Le nuove classi medie che, prive di scrupoli morali, vogliono emulare lo stile di quelle occidentali, alimentano la domanda privata e le premesse per un sano sviluppo economico. I loro vizi privati e gli egoismi individuali producono le pubbliche virtù che avvantaggiano poi anche i ceti più poveri.
Rilanciare i consumi non equivale a ridistribuire il reddito. Entrambi sono obiettivi legittimi, ma non perseguibili simultaneamente. Incoraggiare le classi medio-alte a spendere di più implica detassarne il reddito, sacrificando la spesa pubblica, affinché la maggior domanda crei maggiore occupazione per i ceti più poveri. Viceversa si può sacrificare la crescita, sostenere i redditi minori e accorciare le distanze sociali.
La cosa certa però è che nell'economia reale due piccioni con una sola fava nessuno riesce a catturarli.
La non (necessaria) coincidenza di egualitarismo e ripresa economica | ||
In un paese la cui spesa pubblica corrisponde al 28% dei consumi nazionali, il cui debito pubblico ha raggiunto il 127% del Pil e che è sotto tutela delle istituzioni internazionali, si possono operare trasferimenti di reddito solo compensandoli con un prelievo fiscale: il che equivarrebbe a dare una mano per togliere più che in proporzione con l'altra, poiché riscuotere le tasse e amministrare costa. |
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