Contraffazione nei mercati online: tra poli-criminalità e fraudster journey

Il rapporto FATA dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Ministero dell’Interno e Amazon fotografa lo stato dell’arte della contraffazione nei mercati digitali, al fine di rafforzare la conoscenza e la cooperazione pubblico-privata

Il fenomeno della contraffazione è profondamente cambiato negli ultimi anni. Ciò è indubbiamente connesso al modificarsi nelle abitudini d’acquisto e nei canali utilizzati dai consumatori, non ultimo dopo l’accelerazione di processi impressa dalla pandemia. La stessa diffusione dell’eCommerce (con il suo boom anche legato anche ai lockdown dovuti al Covid-19) ha generato nuovi schemi e modi operandi, facendo emergere nuovi attori criminali e stretto i legami tra contraffazione, frodi finanziarie e reati cyber.

Ciò che è possibile osservare è come, in tal senso, il cosiddetto custormer journey con cui nel marketing si definisce il processo che caratterizza l'interazione tra consumatore e azienda, prenda le fattezze di un vero e proprio “fraudster journey”, un viaggio fraudolento. Tale definizione è tratta dal rapporto finale del progetto Fata – From Awareness to Action, la prima ricerca in Italia che analizza in modo sistematico l’evoluzione e i modi operandi della contraffazione nei mercati online. Lo studio è il risultato di una collaborazione tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore – con il suo spin-off Crime&tech, società connessa al Centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale, Transcrime – ed il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno, con il supporto di Amazon, reso noto a fine aprile 2022. La collaborazione tra questi partner ha alla base la forte consapevolezza che la complessità della contraffazione online aumenterà di pari passo ai cambiamenti del mercato e all’innovazione tecnologica. La globalizzazione dei mercati, infatti, se da un lato ha grandi effetti positivi, dall’altro ha come altra faccia della medaglia nuove opportunità per la distribuzione di beni di natura o origine illecita. L’emergere di prodotti e comportamenti illeciti online, allora, non solo muta il profilo degli attori criminali coinvolti, ma anche quello delle vittime, che si allarga, includendo anche una serie di consumatori e utenti del web, spesso inconsapevoli o vulnerabili e poco equipaggiati. Di conseguenza, viene a moltiplicarsi anche il danno generato sui consumatori, le imprese, il sistema pubblico.

Le dimensioni della contraffazione sui mercati online

Come si legge nel progetto FATA, un recente report di OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ed EUIPO (L'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale) sul traffico di beni contraffatti collegati ad acquisti e-commerce, basato sui sequestri condotti dalle autorità doganali degli Stati Membri dell’Unione Europea, fa emergere che il 56% dei beni contraffatti sequestrati nell’Unione Europea nel periodo 2017-2019 è attribuibile a prodotti venduti online. Tuttavia, in termine di valore economico, solo il 14% dei beni contraffatti sono attribuibili ai canali online. A ciò si aggiunge anche che l’11% delle conversazioni sui social network che hanno a che fare con prodotti fisici, si riferiscono a dei ‘falsi’.

Distribuzione di valore e numero dei sequestri di prodotti contraffatti acquistati online e
su canali fisici.
Fonte: OECD e EUIPO (2021b) © Ministero dell’Interno e Crime&tech-Università Cattolica del Sacro Cuore, 2022,
Progetto FATA: From Awareness To Action. Rafforzare la conoscenza e la cooperazione pubblico-privata contro le
nuove forme della contraffazione online, Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore.

I canali

Le ultime indagini, inoltre, rivelano una crescente diversificazione e interconnessione dei canali online utilizzati per la pubblicizzazione e vendita di prodotti contraffatti. I contraffattori (individuali o in gruppi organizzati) spesso li utilizzano in maniera contestuale, con cross-link e rimandi tra canali diversi, al fine di:

  • raggiungere un numero più ampio di potenziali clienti;
  • eludere i controlli dei provider;
  • ostacolare le indagini sfruttando le differenze tra canali diversi in termini di gestione e condivisione (con le autorità) delle informazioni su clienti, venditori e altri utenti.

I contraffattori, quindi, utilizzano diversi canali online in maniera contestuale e interconnessa, sia per pubblicizzare che per vendere prodotti contraffatti, e per compiere allo stesso tempo altri reati. Tra questi i principali che la ricerca FATA approfondisce sono: social network, siti fraudolenti (es. siti clone realizzati tramite cybersquatting – ovvero la registrazione a scopo speculativo di un nome di dominio Internet, corrispondente al nome di un marchio altrui o a quello di un personaggio famoso, e/o typosquatting, una forma di crimine informatico in cui gli hacker registrano domini con nomi di siti Web noti deliberatamente scritti in modo errato), marketplace, applicazioni di messaggistica istantanea, web-forum e chat (es. chat di videogiochi).

© Ministero dell’Interno e Crime&tech-Università Cattolica del Sacro Cuore, 2022,
Progetto FATA: From Awareness To Action. Rafforzare la conoscenza e la cooperazione pubblico-privata contro le nuove forme della contraffazione online, Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore.

La poli-criminalità come ecosistema favorevole alla contraffazione

Quando sui suddetti canali agiscono attori dai fini piuttosto ambigui, come gruppi di criminalità organizzata che hanno dalla loro broker o influencer più o meno performanti, si creano le condizioni per un ecosistema con una crescente interconnessione di schemi criminali (poli-criminalità) e in un sempre più stretto legame della contraffazione con frodi, reati economico-finanziari e reati cyber. Non si tratta, quindi, di singoli reati ma del già citato “viaggio/percorso fraudolento” (fraudster journey) che si compone di diverse tappe e reati, che lo studio FATA descrive come segue:

  • vendita di ‘falsi’, attraverso i canali e le modalità sopra illustrate;
  • furto di identità di consumatori e seller, compresi i dati relativi ai metodi di pagamento, ad esempio tramite tecniche di e-skimming (tecnica di hacking che ruba le informazioni caricate dai clienti sui siti di shopping online) sui siti ‘clone’ o phishing (attacco di social engineering che mira a far credere agli utenti che l’e-mail ricevuta provenga da un’istituzione attendibile);
  • diffusione di software malevoli tramite marketplace fraudolenti o siti clone, e finalizzati sempre al furto di identità o scopi estorsivi (ransomware);
  • frodi nei servizi di pagamento, utilizzando gli identificativi rubati o le carte clonate in precedenza;
  • resi fraudolenti, successivi ad acquisti online, che comportano ad esempio la restituzione di versioni contraffatte al posto dei prodotti originali.

Prevenzione, buone pratiche e sfide future

Tra i principali risultati del report in oggetto si sono una serie di raccomandazioni di policy da parte degli stakeholder coinvolti che vanno nel segno della collaborazione tra attori pubblici e privati e possono essere raggruppate in tre macro-aree d’intervento da affrontate in futuro:

  • attività operative: rimuovere le barriere nel sistema italiano che non riflettono l’attuale scenario della contraffazione e rendono quindi difficile perseguire legalmente i contraffattori;
  • condivisione di dati: condividere informazioni aggiornate e di qualità sulle attività legate alla contraffazione è essenziale per smantellare le reti criminali che gestiscono questo mercato;
  • prevenzione: definire standard condivisi per prevenire la pubblicizzazione e la vendita di prodotti contraffatti.

In particolare, nel segno della prevenzione alla vendita dei ‘falsi’ sui canali web, lo studio riporta ulteriori  tre linee di controllo: 1) la verifica e il tracciamento dei prodotti da parte di brand owner, tramite soluzioni procedurali o tecnologiche; 2) il monitoraggio di inserzioni e messaggi su marketplace, social media e forum, finalizzato a individuare e rimuovere in maniera tempestiva le pubblicità di ‘falsi’ (l’image recognition di immagini di prodotti contraffatti o un’analisi testuale ad hoc sono esempi possibili); 3) l’adeguata verifica dei venditori (Know Your Business Customer o Seller vetting, dove ‘vetting’ in inglese assume proprio il significato di verifica/controllo delle credenziali) finalizzata a censire i venditori (o gli aspiranti tali) ed evitare che siano accreditate presso marketplace e social network società, magari di comodo, utilizzate per vendere ‘falsi’.

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