Contratto di rete: le pmi fanno goal

ECONOMIA & ANALISI – Sinergie nel know-how, possibilità di crescita sui mercati esteri, maggiore rappresentatività rispetto alla Pa. Le nuove opportunità offerte dalla legge 122/2010 e dal suo regolamento di attuazione

Piccolo sarà anche bello, ma oggi non basta più. Per decenni il modello della microimpresa ha funzionato ed è stato uno dei motori della nostra crescita; oggi, con la globalizzazione e la crisi che bussa alle porte, il modello va profondamente rivisto. Essere piccoli o addirittura microscopici significa quasi sempre non avere le risorse per la ricerca, non poter estendere la propria attività al di fuori dei confini nazionali, avere condizioni peggiori di credito, non riuscire a colloquiare con l'amministrazione pubblica, non godere degli ammortizzatori sociali per i dipendenti, solo per citare alcuni handicap.

La novità legislativa
Una norma, l'art. 42 della legge n. 122/2010, entrata a regime lo scorso aprile con la pubblicazione del regolamento attuativo, favorisce la partnership tra piccoli imprenditori introducendo l'istituto del contratto di rete. Si tratta del più interessante strumento legislativo con cui il governo dà attuazione allo Small Business Act, le linee guida della Commissione europea per promuovere lo sviluppo delle Pmi.

I dieci principi dello Small Business Act:
1. Dar vita a un contesto in cui le Pmi possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale
2. Far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità
3. Formulare regole conformi al principio “Pensare anzitutto in piccolo”
4. Rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle Pmi
5. Adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle Pmi
6. Agevolare l'accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto che favorisca puntualità dei pagamenti nelle transazioni
7. Aiutare le Pmi a beneficiare delle opportunità del mercato unico
8. Promuovere l'aggiornamento delle competenze nelle Pmi
9. Permettere alle Pmi di trasformare le sfide ambientali in opportunità
10. Incoraggiare e sostenere le Pmi perché beneficino della crescita dei mercati

Ma come ci si mette in rete?
“Questa tipologia contrattuale - spiega Franco Casarano, un avvocato milanese che in questi mesi ha già realizzato diverse operazioni - dà certezza giuridica a forme di collaborazione tra imprese, anche localizzate in aree geografiche differenti, e che pur rimanendo indipendenti si uniscono allo scopo di realizzare progetti comuni diretti ad accrescere la loro capacità di innovazione e la competitività sui mercati. Le imprese si impegnano a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie attività; per esempio possono scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, oppure possono esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa”. Il contratto trova nel mondo della distribuzione uno dei suoi ambiti ideali di applicazione. “Per fare qualche esempio - prosegue il nostro interlocutore - il contratto può consistere nell'attività di coordinamento tra più soggetti per il controllo della qualità dei beni lungo la filiera, o nella definizione di una politica dei prezzi nel rispetto dei limiti della normativa antitrust oppure per raggiungere un risultato finale unitario, come la produzione di un bene o di un servizio”.

Retail e Idm
Nel mondo del mass market potrebbe regolamentare la partnership tra retailer e industriale per la realizzazione di una linea di prodotti a marchio di insegna. O ancora: può prevedere la messa in comune di attività strumentali per raggiungere migliori risultati di gestione, come la realizzazione di gruppi di acquisto o di vendita (con un modello riveduto e corretto delle vecchie unioni volontarie), la gestione di logistica, magazzino, piattaforme telematiche, la promozione di beni e marchi, la realizzazione di un laboratorio comune o di un centro di ricerca comune. Infine può rivelarsi uno strumento indispensabile per la partecipazione comune ad appalti o gare.
Un grande vantaggio è sua flessibilità: a differenza di altri contratti di associazione la rete consiste nella messa in comune di know how, ma non di profitto, e assicura la piena autonomia imprenditoriale dei soggetti che lo sottoscrivono.

Prospettive di sviluppo
È possibile, ma non obbligatorio, prevedere la costituzione di un consiglio direttivo e di un patrimonio comune e nel caso uno dei soggetti decida di recedere il contratto rimane pienamente efficace per tutti gli altri sottoscrittori. Fra i vantaggi ci sono anche quelli fiscali: la legge prevede per i primi anni la sospensione di imposta fino a un milione di euro per gli utili d'esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune. Il beneficio spetta a condizione che le somme accantonate siano destinate al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all'affare per realizzare entro l'esercizio successivo gli investimenti previsti. E vi sono anche altre agevolazioni, come il contributo fino a 15.000 euro per progetti di formazione purché legati agli obiettivi e alle attività comuni della rete. Lo stanziamento è di Fondimpresa, il fondo interprofessionale costituito da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per promuovere la formazione nelle imprese, a cui hanno aderito 78.000 aziende. Confindustria è in prima linea nella promozione dei contratti, la presidente Emma Marcegaglia ne ha a più riprese sottolineato l'opportunità e prevede che almeno 200 operazioni saranno concluse entro la fine del 2011.

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