Controvento: marketing inclusivo e diversity

Andrea Notarnicola
I social possono far condividere progetti e programmi di lavoro, diventando così utili per far emergere i problemi di diversity all'interno delle aziende e segnalarli al management (da Mark Up n.255)

Nella  più  complessa  operazione  di  marketing che ogni 4 anni si celebra negli Stati Uniti, Hillary Clinton ha ottenuto più voti di Donald Trump, ma il sistema elettorale statunitense ha premiato il secondo. La contesa si è giocata sulle questioni del diversity management  e  dell’inclusività,  con  un  effetto  di  chiara  polarizzazione dell’opinione pubblica rispetto a questi temi: immigrazione,  donne  al  potere,  disabilità,  assistenza  sanitaria  ecc.  Trump ha vinto nonostante o forse in virtù di un’assoluta negazione del “politicamente corretto”. Certo ai candidati politici basta ingaggiare anche poco più di un quarto del corpo elettorale (cioè metà più uno dei votanti, se l’affluenza supera di poco il 50%, come accade spesso negli Stati Uniti). In un contesto assai diverso, le marche che desiderano coinvolgere e ingaggiare i loro dipendenti, le loro reti commerciali, i loro attuali clienti e fornitori non possono permettersi il lusso di polarizzare queste comunità attraverso un conflitto culturale interno per ottenere alla fine l’engagement solo di un quarto  della  loro  community  di  riferimento.  Per  questo,  nonostante il vento politico contrario, le imprese continueranno il  loro  percorso  di  lavoro  sull’inclusività  e  sul  welfare  con  la  sfida di coinvolgere le persone più resistenti al cambiamento.

Condividere il marketing multiculturale
L’Ana, Association of National Advertisers, aveva già annunciato  la  formazione  della  Alliance  for  Inclusive  &  Multicultural Marketing (Aimm) per creare una voce unitaria utile all’avanzamento del marketing multiculturale. il lavoro iniziato da Aimm ha lo scopo di condividere esempi di marketing multiculturale e di creare strumenti di misurazione dell’efficacia di questo approccio. “Se il mercato è sempre più ricco di differenze, l’Ana riconosce che l’evoluzione strategica del marketing multiculturale diventa ancora più importante per i brand”, ha detto il presidente Ana-Ceo Bob Liodice.

Pregiudizi e stereotipi inconsapevoli
Sul  piano  globale  nel  2017  il  focus  dell’attività  di  diversity&inclusion sarà la ricerca dedicata ai pregiudizi e agli  stereotipi  inconsapevoli:  molto  spesso  le  persone  stesse  che sentono di essere escluse dai circuiti della comunicazione e del potere sono portatrici di pregiudizi autoriferiti, di cui sono vittime. Che senso ha chiedere alle donne di votare per una donna, se queste alla fine pensano che un uomo sia in ogni caso un candidato più adatto per un ruolo di responsabilità? Un ulteriore piano di interesse è l’intersezionalità delle differenze: clienti e persone di una azienda sono portatrici  e  portatori  di  tante  unicità.  Non  ha  quindi  senso  focalizzare  un  programma  di  diversity  management  su  specifiche  differenze considerate una alla volta: il marketing per l’inclusività della donna, per le persone over 60, per quelle che affrontano un problema di salute ecc. Una logica quindi non polarizzata d’intervento sarà utile per mettere a fuoco il valore di ogni cliente e di ogni collaboratore.  Sul  sito  Glassdoor  i  collaboratori delle imprese raccontano e condividono con tutti le loro esperienze di lavoro nelle aziende. Ricercando sul sito il nome di alcuni dei brand di vostro interesse, scoprirete tutto quello che accade nelle imprese raccontato  dai  loro  collaboratori,  i  quali  esprimono  una  valutazione ad esempio con un rating rispetto alla capacità dei loro superiori di motivare le persone. Sono tutte narrazioni che le aziende non possono proprio permettersi, in termini di reputazione complessiva. Meglio allora che le persone abbiano modo di esprimere il loro disagio prima di renderlo pubblico.

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