L’assistenza alla rete di Cia-Conad è #alfemminile

Incontriamo Federica Corzani, direttrice assistenza rete di Cia Conad, una carriera tutta in Conad, e dedicata ai suoi imprenditori. Con lei analizziamo i cambiamenti avvenuti nei profili e nelle richieste nel post pandemia

Sorridente e ferma così mi sembra dal video, Federica Corzani, direttore, anzi direttrice, assistenza rete di Cia Conad. Ed è proprio su questo ruolo che si scatena la mia curiosità...

Cosa significa essere direttore assistenza rete?

Federica Corzani Cia ConadDirettrice assistenza rete. Questa funzione è un po’ atipica se la rapportiamo a ruoli analoghi in aziende succursaliste, ma Conad è una cooperativa di dettaglianti, appunto, non un’azienda succursalista, e la mia funzione è quella di coordinare un gruppo di persone che lavorano a servizio degli imprenditori associati alla nostra cooperativa. E il servizio è quello relativo alla gestione dei loro punti di vendita. Quindi il gruppo degli assistenti rete che coordino, che in altre aziende sarebbero dei capi area, si interfaccia con i direttori e gli imprenditori, offrendo loro consulenza e ispezione sulla tenuta del punto di vendita. Un altro gruppo di persone che coordino è quello degli specialisti di prodotto, che sono l’alter ego del capo reparto: quindi gli specialisti di macelleria, pescheria, deperibili, secchi, si interfacciano sempre con l’imprenditore, ma anche con i suoi collaboratori di reparto. Inoltre, la mia divisione si occupa anche della formazione degli associati e dei loro dipendenti e collabora con tutto l’ufficio tecnico, perché è sempre sotto la mia responsabilità anche il coordinamento del piano nuove aperture e ristrutturazioni. Questo proprio perché nella nostra cooperativa le stesse funzioni che fanno assistenza, ispezione e consulenza, sono anche quelle che poi procedono alla progettazione dei nuovi negozi e delle ristrutturazioni e alla loro messa in pratica. Parliamo di un incastro abbastanza stimolante, perché il gruppo comincia a essere numeroso e i compiti sono molti.

Come sei arrivata a coprire questo ruolo?

Mi è stato affidato formalmente nel 2015, con esso è arrivata la nomina a dirigente che, ufficiosamente, già svolgevo ad interim qualche tempo prima. Conad è l’azienda della mia vita: ho iniziato ancor prima di laurearmi, il primo luglio del 2002, part time. Sono stata assunta per dare manforte a un ufficio dell’assistenza rete di Cia. Lì ho conosciuto i miei colleghi che oggi sono miei collaboratori e che mi hanno insegnato tutto di questo lavoro. Poi, un’altra donna importante, Maria Stella Semprini, che è un’assistente rete di grande esperienza: lei mi ha introdotto al rapporto con i soci.

Il primo anno è stato un lavoro di segreteria, poi sono stata mandata a fare formazione alla scuola della grande distribuzione, a Rouen in Normandia, perché c’era in quel momento attivo un progetto di collaborazione con Leclerc, un retailer molto affine a noi; un periodo per me molto importante e al rientro ho avuto l’incarico di assistente rete di un territorio. Noi funzioniamo così: gli assistenti di rete seguono un canale e un territorio e all’inizio ho avuto le Marche e il Friuli-Venezia Giulia, abitavo a Forlì e avevo la valigia sempre pronta nella mia Clio. Da lì, ho sempre cambiato zona e preso ad interim anche piccole responsabilità di collegamento dei colleghi fino ad arrivare, dopo 11 anni, alla direzione di questa parte del Gruppo.

Nel frattempo, sono stata assistente rete praticamente di tutti i soci della cooperativa. Un percorso disegnato da chi mi ha preceduto, in maniera intelligente, che mi ha insegnato la dialettica più opportuna per potermi rapportare con i soci, tenuto conto che allora, nella base sociale, c’erano praticamente solo uomini, tutti più anziani di me: appena entravo in ufficio, mi mostravano l’attestato di appartenenza a Conad quando ancora dovevo nascere. Nel frattempo, comunque, mi sono anche laureata in Giurisprudenza, con una tesi in diritto tributario: avrei voluto fare il concorso nella Guardia di Finanza, ma sono troppo piccola, solo 1,57 m, e allora per fare l’ufficiale in Guardia di Finanza bisognava essere alte almeno 1,65 m. Quindi sono rimasta in Conad.

Torniamo ad oggi: cosa è cambiato con il Covid?

Il Covid ha messo a dura prova i nervi di tutto il mondo a contatto col pubblico e il retail alimentare non è altro che lo specchio cristallino di una società, in cui emergono i lati positivi e negativi di quel vivere sociale. Ho imparato che possiamo essere bravissimi a disegnare layout, selezionare assortimenti, a fare il nostro lavoro nella maniera più ingegneristica e scientifica possibile, ma la componente umana della relazione nel punto di vendita fisico è la chiave di successo o di insuccesso: la relazione con il cliente è il top delle priorità. Quando faccio scouting di imprenditori, piuttosto che formazione, ispezione, quando dialogo con i miei associati e con i loro direttori, questa componente è sempre ben presente nella mia testa.

Come è cambiata la figura di imprenditore, negli anni?

Parliamo di quelli che non riesco a dissuadere dal fare questa cosa? Perché il mio lavoro principale è mettere in luce tutti i nostri difetti e chiarire le regole del sistema Cia-Conad, poche regole ma importanti. Di fatto, il dialogo con gli imprenditori è il nostro core business. Tornando alla domanda, probabilmente, rispetto a 10-15 anni fa, c’è più timore di mettersi in proprio, rischiare, offrire garanzie. Nel contempo, assistiamo a un’evoluzione del profilo: prima era predominante il tecnicismo, la capacità di conoscere il cliente, l’essere salumiere oppure scaffalista esperto, e noi aiutavamo l’imprenditore (e continuiamo tutt’ora) sui temi di finanza e della gestione del personale e dei collaboratori. Oggi si è invertito il trend e le skill più tecniche sono quelle su cui li formiamo partendo però da imprenditori che abbiano voglia di rischiare, di andare fuori dai confini. In passato, la base degli imprenditori a noi associati era formata da un gruppo di specialisti: l’ortolano, il macellaio e il salumiere che, insieme, diventavano titolari del loro punto di vendita con, al massimo, dieci collaboratori; oggi, l’imprenditore è uno con 30 collaboratori.

Ad essere cambiati, quindi, sono la dimensione umana, lo spessore e il profilo e, di conseguenza, anche il nostro contributo si sta modificando, anzi si è modificato. Un discorso reso ancora più valido sulla scorta dell’acquisizione di Auchan e della conseguente interazione con tanti profili, da Senigallia fino a Milano, di persone che ci hanno individuati come potenziali partner di un progetto di vita. Perché fare l’imprenditore non è un programma di breve durata, ma una partnership che si consolida nel tempo.

Come hai visto cambiare nell’ultimo anno e mezzo le richieste da parte degli associati?

Se mi avessi fatto questa domanda due anni fa, la mia risposta sarebbe stata maggiori promo, ma non è più così. Ai nostri soci la pandemia ha fatto capire che è bene avere i prodotti giusti, a un posizionamento corretto, piuttosto che delle sparate promozionali pazze. Oggi, abbiamo un’incidenza promo molto bassa, ma manteniamo l’incremento sulle vendite, una strategia che ci ha sempre premiati. Un cambiamento che si è accelerato negli ultimi due anni su una politica che avevamo già impostato. I soci adesso chiedono più servizio, per poter adempiere meglio alle loro funzioni, come far trovare più facilmente i prodotti, più pulizia, una maggiore viabilità del punto di vendita. Tutte cose che tre anni fa nessuno mi avrebbe chiesto, mentre, al contrario, oggi mi sembrano tutti molto meno appassionati di promozioni.

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