Così si comunica con i consumatori di fake news

Circolarità
Con la ricerca Uni Cattolica/EMH la psicologia dei consumi va a caccia dei target group principali della falsa informazione in ambito agroalimentare

Ecco dove nascono i consumatori di fake news. Che le fake news siano un problema pressante per la filiera agroalimentare è un fatto assodato. Molto meno assodato è come affrontarle, che significa anche come comunicare correttamente con un consumatore sempre più reattivo e per certi aspetti imprevedibile. In questo senso va fatto uno sforzo in più: non rimanere alla facciata del fenomeno ma andare a capire da dove scaturiscono questi comportamenti. E un aiuto cruciale in questo ambito lo può dare la psicologia dei consumi, come ci spiega la professoressa Guendalina Graffigna, direttore di Engage Minds Hub, un centro di ricerca dell'Università Cattolica che ha appena presentato un'analisi incentrata sulla questione della fake news in campo agroalimentare.

La dimensione del fenomeno

Un lavoro che già con i primi dati mette a fuoco la dimensione del fenomeno: il 48%, dei consumatori italiani  quasi uno su due, dichiara di aver creduto almeno qualche volta nell'ultimo anno a una notizia relativa al mondo agroalimentare rivelatasi poi falsa. Non solo, tra questi, il 37%, dunque quasi un terzo, ha anche condiviso questa notizia – falsa – sui propri profili social, contribuendo così all'inarrestabile diffusione delle bufale alimentari.

Guendalina Graffigna, direttore EngageMinds Consumer Food Health Research Centre

“Ciò che colpisce – sottolinea Graffigna – è che le fake news davvero non risparmiano nessuna classe sociale, e in media sono le persone con almeno un diploma e appartenenti a una fascia economica media a essere più spesso preda delle fake news in ambito alimentare”. A influire su questo fenomeno non è dunque il livello sociale o culturale, e cioè variabili sociologiche; le motivazioni vanno ricercate in ambito psicologico. Coloro che sono maggiormente inclini a credere alle fake news, infatti, risultano più preda delle mode relative alle novità nei prodotti alimentari (52% contro il 39% del totale campione), più dipendenti dall'approvazione sociale in merito alle loro scelte alimentari (31% rispetto al 23% del totale campione), ma soprattutto meno sicuri e soddisfatti di sé (37% contro il 45% del totale campione). Inoltre è interessante notare che chi crede maggiormente alle fake news alimentari risulta anche più lontano e scettico nei confronti della ricerca scientifica, almeno in ambito agroalimentare, e più contrario all'applicazione delle nuove tecnologie alimentari (40% rispetto al 35% del totale campione).

Consumatori di fake news

Ma la ricerca va ancora più in profondità e arriva a profilare i consumatori di fake news. Sì perché non solo coloro che credono maggiormente alle "bufale" alimentari risultano avere un profilo psicologico differente rispetto a chi non ci crede, ma tra i primi è possibile articolare tre diversi profili psicologici che, tra l'altro, mettono in luce possibili strategie educative e comunicative personalizzate che le aziende possono mettere in atto per "correggere" questa disinformazione.

Tre profili di consumatori di fake news emergono dalla ricerca condotta dalla professoressa Graffigna
e dall'Engage Minds Hub dell'Università Cattolica

Iniziamo dai "distratti" che rappresentano il 42% di coloro che credono alle fake news: sono poco attenti alle loro scelte alimentari, hanno uno stile di vita poco sano ma sembrano non problematizzarlo e non dichiarano l'intenzione di migliorarlo. Tendono a provare le nuove mode alimentari ma più per esperimento che per un vero piano di innovazione. Non hanno un regime alimentare coerente e razionale.

Poi troviamo i "disorientati", che rappresentano il 33% di coloro che credono alle fake news: sono molto proattivi nella ricerca di informazioni in campo alimentare perché si dichiarano preoccupati per la loro salute; ma spesso si lasciano influenzare dall'opinione altrui, soprattutto di amici e parenti. Sono aperti alle novità del mercato, ma non sono soddisfatti del loro regime alimentare e del loro stile di vita e dichiarano di essere fortemente intenzionati a cambiarlo nei prossimi sei mesi.

Infine la ricerca individua il profilo dei "narcisi" che equivalgono al 25% di coloro che credono alle fake news. I consumatori "narcisi" ricercano abbastanza spesso informazioni riguardanti l'alimentazione al fine di mantenere uno stile di vita sano, si ritengono soddisfatti delle loro abitudini alimentari e sono  generalmente più tradizionali nelle loro scelte. Infine non problematizzano le loro convinzioni in ambito di salute e di alimentazione e per questo appaiono meno critici verso le fonti di informazione.

“La ricerca dell'Engage Minds Hub – afferma il professor Lorenzo Morelli, docente all'Università Cattolica e direttore scientifico del progetto Craft – è importante perché delinea l'inizio di un nuovo percorso di ricerca che si viene ad attuare a Cremona, dove gli aspetti tecnologici, microbiologici, nutrizionali vengono affiancati dallo studio del consumatore. Si copre cosi l'intero quadro di quella che l'Unione Europea chiama Food System , definizione ancora più vasta ed inclusiva di food chain, comprendendo appunto anche i consumatori”.

LA TAVOLA ROTONDA

Nel breve periodo una fake news può avere un impatto sui consumi di un prodotto alimentare, ma l'effetto reale è quasi sempre complesso ed è difficile enucleare le componenti dovute alla causa del momento rispetto a trend già in atto da tempo, ha spiegato il professor Paolo Sckokai, direttore del Dipartimento di economia agroalimentare dell'Università Cattolica. Una tipica disinformazione in ambito alimentare riguarda l'olio di palma e a questo proposito, Mauro Fontana, manager di Ferrero, ha evidenziato come la sua corporate, grazie a un lavoro avviato da tempo sulla qualità delle materie prime, proprio a cominciare dagli oli vegetali, abbia risposto in modo forte e coerente ai consumatori, vincendo la sfida. Di fronte al fenomeno delle fake news – è il messaggio lanciato da Salvatore Castiglione, manager di Danone – sarebbe importante comprendere il prima possibile quale strada errata e non scientificamente fondata sta per imboccare il consumatore. E in questo campo, la collaborazione con la scienza e dunque con l'Università è fondamentale. Secondo, infine, Alessandro Sessa di Altroconsumo, quello delle fake news è un problema serio, basti pensare che la platea di consumatori che si rivolge ai prodotti "senza" è pari a 30 volte quella delle persone effettivamente interessate da intolleranze.

Craft (CRemona Agri-Food Technologies) è un progetto dell'Università Cattolica di Cremona focalizzato su attività di ricerca scientifico-tecnologica e di analisi socio-psicologica del consumatore in ambito lattiero-caseario. Più in dettaglio Craft vuole sviluppare da un lato tematiche tecnologiche, microbiologiche e biochimiche; dall'altro indagare l'atteggiamento dei consumatori nei confronti del latte e dei suoi derivati. Un lavoro di ricerca che viene indirizzato a favore del territorio cremonese, attraverso la successiva attività di trasferimento tecnologico, di formazione e di disseminazione delle conoscenze.

“L'attività di Craft – afferma il professor Lorenzo Morelli, direttore del progetto – farà scaturire un nucleo locale di competenze specifiche nel comparto lattiero-caseario cremonese, che è certamente protagonista nel tessuto socio-economico del territorio e ha un peso rilevante a livello nazionale. In particolare, con il lavoro di disseminazione, i risultati delle ricerche e delle analisi effettuate verranno trasferiti alle aziende in modo mirato e concreto, con vantaggi per l'intera filiera e più in generale per il tessuto economico territoriale”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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