Cotechino e zampone chiamati alla sfida con la Cina

Le zampe anteriori del suino, svuotate e ripulite, sono pronte a essere insaccate
Destagionalizzare i consumi e ampliare la penetrazione soprattutto nelle aree del Centro Sud Italia potrebbe rivelarsi difficoltoso in questo 2019 che vede la Cina affamata di carne suina da Europa e Usa

Venduti soprattutto a Natale e nelle regioni del Nord Italia, Cotechino e Zampone sono nel percepito dei consumatori dei prodotti molto legati alle festività invernali e a una cultura gastronomica dai sapori importanti e calorica. In realtà un etto di cotechino di Modena contiene circa 250 calorie, meno di un piatto di pasta scondita e pari a una mozzarella. La principale sfida dell’attività promozionale del Consorzio Zampone Cotechino Modena Igp è quindi disfarsi di queste etichette e destagionalizzare i consumi.  Per farlo è stato prima di tutto recentemente modificato il disciplinare di produzione alleggerendo la ricetta attraverso l’eliminazione del glutammato aggiunto e dei derivati del latte. Si è inoltre lavorato, per il Cotechino, su formati più piccoli (250, 300, 500 grammi) gestibili anche da nuclei di 2 o 3 persone e, grazie al coinvolgimento di grandi chef, si sono suggerite ricette e abbinamenti più leggeri e freschi adatti a tutte le stagioni. Parallelamente è stato ampliato il periodo di inserimento a scaffale a partire dall’autunno.

Con le attuali quotazioni di mercato agli allevatori conviene vendere i piedini in Cina a 3 dollari l’uno piuttosto che spelarli e destinare le pelli all’insacco dello zampone

È in corso anche un’attività di internazionalizzazione dei prodotti per esempio portando chef stranieri nei territori di produzione, ma l’interesse è concentrato prevalentemente sul mercato nazionale (attualmente infatti il peso dell’export è solo del 2-3%).

Dall’apertura del mercato cinese un rischio per il made in Italy

Da questa estate però un’ombra è calata sulle industrie di lavorazione della carne suina italiane. L’attacco di Peste suina che ha colpito gli allevamenti cinesi ha spinto le quotazioni dei suini da macello a un +30% in 40 giorni (a 1,65 euro/chilo). La carne suina copre il 60% del consumo proteico dei cinesi e l’entità delle perdite tra capi morti di malattia o abbattuti, secondo quanto comunicato dalle autorità locali, si aggira a oltre cento milioni di animali, tra un terzo e la metà della popolazione locale di maiali. “Sperando che, laddove si è presentata la malattia siano stati veramente abbattuti tutti i capi degli allevamenti infettati -afferma preoccupato il presidente del Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp Paolo Ferrari-, per ripristinare la produzione consueta occorrerà almeno un anno e mezzo. Ad oggi agli allevatori europei con queste quotazioni conviene vendere i piedini in Cina a 3 dollari l’uno piuttosto che spelarli e destinare le pelli all’insacco dello zampone, per non parlare poi della commercializzazione dei tagli più nobili”.

Attualmente l’Italia sta aspettando alcune certificazioni per iniziare a esportare anche la carne di maiale fresca in Cina. Quando questo sarà possibile il reperimento dei vari tagli per l’industria potrebbe diventare, oltre che costoso, anche soggetto a criticità di approvvigionamento.

La Cina ha aperto all’import di carne di maiale anche dagli Usa, dove la quotazione è di 0,90 euro/chilo. La concreta speranza degli operatori è che, salvo le minacce di dazi da parte di Trump, i cinesi si rivolgano anche a quel mercato e che ci sia un riequilibrio dei prezzi della materia prima.

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